lunedì 2 marzo 2009

RAGIONE 6: LA NOSTRA INETTITUDINE E' IN AUMENTO



Non sappiamo neppure prepararci una valigia.
Lo strano caso di Nikita.



Le nostre nonne non sarebbero fiere di noi. No davvero.
Mia nonna Adele, era solita ripetermi che una vera signora – non una sgualdrina come ce ne sono tante – si vede da tre cose:
1 -da come si comporta al ristorante;
2 -da come si veste;
3 -da come si prepara per la valigia per le vacanze.


In quasi un secolo di evoluzioni acrobatiche femministe, molte di noi si dicono certe della “qualità” raggiunte in alcuni spazi del vivere. Così, ad esempio, per quanto riguarda i comportamenti da “ristorante” abbiamo assistito a rivoluzioni copernicane, tali per cui siamo passate da “sconvenienti” situazioni in cui Lui pagava il conto facendoci sentire delle merdine a “convenienti” situazioni in cui lui continua a pagare il conto facendoci sentire inferiori. Sì, lo so, non è cambiato gran che, ma almeno non ci siamo ridotte sul lastrico. Con quel che costano i ristoranti oggigiorno… Abbiamo inoltre appreso che non ha senso sollevare questioni di principio, soprattutto quando ci sono di mezzo i soldi. I nostri, è ben noto, vogliamo sperperarli liberamente nelle boutiques piuttosto che donarli al Rifugio del mentecatto incapace perfino di prepararsi due uova al tegamino. Il risultato dell’intera operazione culturale ha un solo nome: mantenute. Ne sono consapevole, il tutto appare degradante, ma a noi piace… e ci piace ancora di più soprattutto se, una volta tanto, possiamo fingere (bravissime in tutto) di ammantarci di expertise nell’arte culinaria, ordinando i piatti più costosi del menù.

Vi è poi la questione del vestirsi. La moda – lo vediamo tutte - si è evoluta trasformandoci da gran dame a battone à la page… grazie ad uno stuolo di stilisti che ci hanno abituato a sentirci sensuali solo a bordo di scomodissime decolletè dal chilometrico tacco, di inguinali micro-gonne a rischio di estinzione della topa da riporto, di scollature a prova di polmonite-ogni-due-per-tre.
Per questo motivo, anche da questo punto di vista, la nostra signorilità nonché la nostra femminilità ha tirato le cuoia con largo anticipo rispetto a tutto il resto, evidenziando una certa attitudine al fallimento nelle attività di routinaria prerogativa femminile.
Se è vero, infatti, che gli stringenti corsetti dell’800 ci impedivano i movimenti più naturali – obbligandoci a statuarie posture in pieno stile “soprammobile di Capodimonte” – non è che adesso ci divertiamo a sperimentare nuove e sempre più avvincenti combinazioni yoga da passeggio. Per nulla, anzi direi che ci siamo aperte a nuove prospettive ermeneutiche sul significato della sofferenza, dell’alluce valgo, della congestione intestinale e della deambulazione strabica… molto poco professionale se non sui marciapiedi poco illuminati delle nostre città. Anche in questo caso, bisogna ammettere che anche il concetto di “vera signora” è stato tradito in favore di un più prosaico concetto di “adescatrice inconsapevole”. Forse.

Ed eccoci alla questione delle valigie. Le donne riguardo a questo argomento fanno sempre la parte delle gnorri, ovvero fingendo grandemente di non sapere, di non vedere… di non avere la forza per sollevarle. Gli uomini, per certi versi più pratici, hanno invece il polso della questione, anche perché di solito sono loro a portarle e a spostarle da un luogo all’altro non senza un piccola dose di curiosità variamente esprimibile nel classico: ma che cazzo c’hai messo dentro?
Questa frase nei secoli non si è modificata. Un tempo, infatti, i maschi da facchinaggio – sposati e non - erano soliti usare espressioni meno colorite, del tipo: “Perdinci, ma cosa cazzo vi siete portata appresso sua Signoria?”
Lo so, gli uomini, non sono mai stati creativi, e d’altronde cosa c’entra la creatività con la quantità di stracci che amiamo portarci in ogni dove?
Il problema, in verità, si correla ampiamente con il nostro livello di autostima, ormai giunto ai sottotacchi dei trampoli da cui non riusciamo più a scendere. Quello che veramente ci turba e ci espone a frequenti crisi di isterismo è l’ipotesi, anche remota, di non avere l’abito giusto per ogni occasione. Di solito infatti, in prossimità delle vacanze – non importa in quale ameno luogo di villeggiatura – cominciamo a fare una lista di possibili eventi non pianificabili in cui potremmo imbatterci. Quella che segue è la lista-minima approvata dal Comitato per la salvaguardia dell’autostima delle cerebrolese del terzo millennio:
- incontro spirituale col Dalai Lama
- incontro intimo con Rocco Siffredi
- incontro spazio-temporale con la nostra compagna delle scuole elementari
- incontro annichilente con la nostra portinaia
- incontro “8 marzo” con Mara Carfagna
- incontro lesbico con Maria De Filippi
- incontro efficiente con il ministro Brunetta
- incontro salottiero con Bruno Vespa
- incontro glamour con Anna Wintour
- incontro filosofico con Immanuel Kant
- incontro a sorpresa con Osama Bin Laden
- incontro mistico con Bernardette
- incontro culinario con Antonella Clerici
- incontro religioso con Suor Germana
- incontro scassaminchia con Alda Deusanio
- incontro preveggente con Solange
- incontro deprimente con Gisele Bundchen
- incontro molto deprimente con Gisele in compagnia di Elle Mc Pherson
- incontro deprimentissimo con le prime due sul set del Calendario Pirelli
- incontro infantile con Cristina d’Avena
- incontro molto infantile con Cristina d’Avena ed Elisabetta Viviani
- incontro vantaggioso con Donald Trumph
- incontro molto vantaggioso con Donald in compagnia di Bill Gates
- incontro vantaggiosissimo (al limite della botta di culo) con Donald, Bill e il sultano del Brunei
- incontro sfigato con i primi tre in compagnia della Bundchen e della Mc Pherson

Spero di non aver dimenticato nulla. Ah si, il beautycase. Adesso c’è proprio tutto.
Insomma, lo capite benissimo, non ci si può far trovare impreparate… nossignore. E poi, cosa penserebbero le compagnie aree se ci presentassimo al check-in con un paio di bermuda, un top e un tampax? Va bene il senso pratico, ma al miracolo non siamo ancora pronte.
Ad ogni modo, sebbene il nostro grado di accuratezza in questi casi sfiori la perizia certosina, si sono verificati casi di imperdonabile inettitudine. È questo il caso di Nikita.

Il suo nome, ai più sconosciuto, ci riporta a qualche settimana fa, e precisamente al 23 febbraio scorso. Nikita, donna felicemente sposata con un grosso immobiliarista specializzato nel “mattone facile”, aveva da poco saputo con suo sommo piacere che, dopo anni di continue preghiere, Gabriel – suo marito – aveva deciso di regalarle il viaggio dei suoi sogni: un lungo soggiorno all-inclusive in quel di King Bibble, le magnifiche isole sperdute della Polinesia Francese.
Dopo le prime estasianti attestazione di gratitudine per quell’inatteso regalo, Nikita realizzò ben presto che un crescente disagio stava prendendo il sopravvento nel suo nobile animo. Insomma, a chi avrebbe lasciato le sue perle di ragazzini? Quante valigie avrebbe dovuto comprare? Ma soprattutto cosa avrebbe dovuto metterci dentro?
Alla prima domanda rispose subito, ipotizzando una spedizione punitiva nella casa materna dove si sarebbe assicurata la felice permanenza dei figli.
Alla seconda domanda, invece, i nodi cominciarono a venire al pettine. Insomma, in certi posti ci si va una sola volta nella vita. E poi, chissà che personaggioni le sarebbe capitato di incontrare, chissà a quante feste sarebbe stata invitata? Chissà quanti corteggiatori… chissà quanto tutto.
Per fortuna che aveva scaricato la lista per tempo così una parte del panico svanì rapidamente in quel camion di valigie che le furono recapitate il giorno seguente al suo indirizzo di casa.
Dopo aver ripetutamente controllato la check-list del necessaire per il viaggio, Nikita sprofondò nuovamente in una deriva di pensieri aberranti tra cui il classico: e se dimentico qualcosa? “Dio non voglia” ripeté tra sé e sé. Lo sapeva che se avesse dimenticato qualcosa non se lo sarebbe perdonato, senza che contare che la vacanza ne avrebbe risentito.

La notte del 22 febbraio, dopo vari tentativi di addormentarsi, la nostra eroina crollò in un sonno a dire il vero contaminato da incubi ad occhi aperti… primo fra tutti quello che la vedeva improvvisamente “disturbata” nella sua magnifica vacanza da presenze non contemplate nella “lista minima”. Insomma, e se veniva a farle visita Gorge Clooney o Brad Pitt? E perché no il Sindaco di Roma, o mr B in compagnia di Mrs B? E poi c’era sempre l’incognita Paris Hilton…
La mattina seguente, mentre era tutta presa dagli ultimi preparativi e tutto pareva volgere a nevrotica conclusione, la sorte le regalò una ghiotta occasione per mettere definitivamente a nanna le ansie dell’ultima ora: la visita inaspettata dell’unica persona non contemplata nella lista. Il suo padrone di casa. Quando aprì la porta, facendosi varco tra le colonne di valigie già bell e pronte per l’espatrio, si trovò di fronte proprio il signor Santini – nipote del celeberrimo prestigiatore newyorchese.
- “Buongiorno signora Nikita!” aveva biascicato mollemente appoggiato col gomito alla porta “siamo di partenza, eh?!”
Lei rimase a fissarlo lungamente, cercando con la mente una risposta adeguata a quella che appariva un sottile presa per il culo. Poi esordì: “No, mi sono stancata degli armadi… sa, pesano troppo e non entrano nel bagagliaio dell’auto! Ah ah ah…”
Lui, di rimando, rise di gusto, ponendo in evidenza una magnifica protesi dentaria in oro 18 carati con diamantino applicato al canino destro. Poi, assecondando l’humor uterino di quella donzella dalla pettinatura relativistica, ribatté: “posso darle una mano…”
- “Venga al dunque signor Santini, sono di fretta… devo farmi la messa in piega e l’universo si sta sgretolando sotto i nostri occhi… “
- Suvvia, ma come… arriva il padrone di casa e lei non gli offre nemmeno un bicchierino e un assaggio di buona conversazione sui Principi del metodo per l’apprendimento della lingua latina? suggerì accomodandosi sull’unica seggiola disponibile, accavallando le gambe in pieno stile bovaro delle Langhe in preda a selvaggi istinti sessuali.
- “Senta, signor Santini” puntualizzò, cercando di contenere le prime avvisaglie di psicosomatico istinto omicida “ho da fare… e di certo non è il momento giusto di dissertare su César Chesneau Dumarsais… oltretutto, la discussione appare monca se non si tiene conto dei suoi contributi epistemologici ben evidenziati nel Trattato sull’allegoria, in cui tenta di costruire una teoria filosofica sul linguaggio figurato…”
- “Lei mi prende per la gola… ma lo sa che potrei parlargliene per ore e ore? Settimane direi!”
Nikita non rispose, guardò l’orologio, si aggiustò la scomposta acconciatura… si guardò le unghia, e con un’inusuale flemma, si pronunciò in tal guisa: “Signor Santini, Giovanni, mi ha convinto… non avevo una conversazione così eletta dalla notte di nozze. Cosa le porto: caffé, tè, Anisette, infuso di biancospino, Karkadé…? Abbiamo tutto in casa! Faccia come se fosse a casa mia… ah ah ah…”
Quando tornò dalla cucina, Nikita pareva rinata: una fonte di luce le attraversava gli occhi, il suo make-up si era fatto perfetto e il suo deambulare aveva iniziato ad assumere un che di sensualmente provocatorio. “E allora Giovanni – ehm Signor Santini - che ne pensa di una vacanza in Polinesia? Potremmo starcene da soli, io e lei soli soletti… a parlare anche delle teorie di Wittgenstein sulla relatività del linguaggio…”
- “Beh veramente” tentennò “proprio oggi, avrei da fare… una riunione di condominio. Oh ma quanto mi piacerebbe!”
- “Ma su venga…” insistette suadentemente.
- “Non posso. Non insista… adesso devo andare”
- “E io dico di sì… e non accetto di essere contraddetta!” e così dicendo lo colpì col matterello per pasta e dolci fatti in casa in piena testa, provocandogli una ferita lacero-contusa difficilmente sanabile se non con un trapianto di scatola cranica.

Quella sera, con perfetto tempismo sulla tabella di marcia, Nikita e Gabriel si presentarono al check-in dell’aeroporto. Lei vestiva in pieno stile Jackie Onassis: fularino Hermes, tubino in shantung di seta ecrù e decolletè con tacchetto di sei centimetri dello stesso colore del rossetto. Lui, invece, indulgeva in uno stile Yacht 25 metri.
- “Qualcosa da dichiarare?” aveva chiesto la hostess.
- “Nulla… nulla!” si affrettò a rispondere Nikita.
Poi improvvisamente un lampo di terrore le attraversò il volto. Un’immagine del passato le stava tornando vividamente alla memoria con la stessa forza di un tappo esploso da una prestigiosa bottiglia di Chateau Lafitte del 1959: le risate grasse delle sue compagne di asilo nido allorquando si accorgevano della scia di sugo di arrosto che fuoriusciva dal panierino.
- Cazzo, no…il Domopack!!! Bestemmiò senza ritegno davanti all’ufficiale che aveva seguito argutamente quella strano strascico rosso sangue di tipo “B negativo”.
Gabriel si bloccò di colpo, sbirciò con la coda dell’occhio quello zig-zag dietro di sé, e senza scomporsi, affettuosamente sentenziò: “si tesoro, hai ragione… me lo sentivo nelle ossa… lo sapevo che ti saresti dimenticata qualcosa. Non ho parole… la solita inetta. Tutta tua madre!”













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