mercoledì 16 aprile 2008

PIE DONNE



Come spesso accade nei giochi di illusionismo, il prestigiatore crea un diversivo plausibile per distogliere l’attenzione del pubblico da ciò che realmente sta accadendo davanti ai loro occhi.

Allo stesso modo, in questi giorni di campagna elettorale l’attenzione delle persone è stata magistralmente distolta da un fatto molto simile ad un racconto dell’orrore… tanta è la rassomiglianza con quegli avvenimenti che sfidano i nostri maledetti schemi mentali.

Il riferimento va ovviamente a quelle cose che difficilmente riusciamo a comprendere proprio perché in contrasto con le nostre idee stereotipate. Nel bene o nel male.


La notizia è stata riportata da Repubblica dell’11 aprile 08, e vi assicuro che dopo la prime risate per l’involontario umorismo ho lasciato spazio alle prime serie riflessioni. Il titolo sembrava quasi una trama di un film di Almodovar: CONFESSIONE CHOC DI UNA SUORA “IO, TRATTATA COME UNA SCHIAVA”.

Vi dirò sulle prime avevo ipotizzato che si trattasse del solito brutalone in astinenza che, non avendo trovato una figa in cui sfogare i propri istinti riproduttivi, aveva chiesto caritatevole “assistenza tecnica” ad una che – come tante- lo fanno per mestiere.

Ecco le suore sono questo: un’associazione di sfigate, tendenzialmente lesbiche, che pur di giustificare agli occhi del mondo il loro ribrezzo per il cazzo, decidono di indossare la vestina bianca (o bianca e nera per le fanatiche della Juventus) e di fingere grandemente di “averla” data simbolicamente ad uno (e trino) che come minimo non le caga nemmeno di striscio.


Se vi state chiedendo il perché di tanta acrimonia, forse fareste bene a ricordare di quante disumanità si sono resi protagonisti i celesti e le azzurre rappresentanti del divin signore nel corso dei tempi, non ultime tutte le vicende di pedofilia e di violenza gratuita esibita in nome della medesima entità. E siccome mi sono rotta l’ovaia sinistra (il cazzo per gli amici maschi) di queste genuflessioni culturali rese eterne dalle tradizioni e dal bisogno di credere in un regno post mortem, affronterò l’argomento con pochi e nessun pelo sulla lingua… oltretutto io non ho l’abitudine di leccarla a destra e a manca.

Ma tralasciamo per un attimo gli effetti deleteri di certe pratiche saffiche, e concentriamoci sul fatto del giorno: “una suora scappa dal convento e si rifugia in un centro contro la violenza delle donne”. Così comincia l’articolo. Di solito, o spesso, capitava che una donna violentata si rifugiasse in un convento per ricevere la doverosa protezione dalle cattiverie del mondo degli uomini.


La notizia, ne più nemmeno nuova come una porta sfondata dalla notte dei tempi, ci riporta in realtà ad una visione diametralmente opposta delle cose: l’abito non fa il monaco… esattamente come la bontà non fa diventare santi.

L’aspetto più raccapricciante di tutta la vicenda non è in sé la storia dei maltrattamenti – chi di noi non ne ha mai subito uno? – quanto la ferocia espressa ad opera di una persona che per default dovrebbe esibire comportamenti fondati sull’amore. Questa povera disgraziata, obbligata a fare la wonder woman a ore nell’albergo Suore dello Spirito Santo (Guantanamo sembra più accogliente), dopo essere stata costretta a svolgere il lavoro di sei persone viene anche sottoposta a continue umiliazioni e aggressioni da parte della madre superiora… come dire che al peggio non c’è mai fine. Fine della notizia, ma la riflessione di certo continua perché oltre alle implicazioni che si possono arguire, resta il fatto che dietro tutto questo si nasconda ancora una volta la natura umana: una natura umana incapace di modificarsi nemmeno quando si traveste di presunta bontà o di culla di rare virtù.


Non farò la moralista perché rischierei di entrare nello stesso loop, quello che mi preme rilevare è invece la portata e lo spessore dell’inganno, reso ancor più inverosimile da quel cazzo di schema mentale che, facendoci associare una sottana al volto caritatevole di una donna, non ci consente quasi mai di discernere la realtà, ma soprattutto ci fa rimanere inermi e privi di una risposta.


Noi donne abbiamo ormai interiorizzato questo modello culturale, solo falsamente sbilanciato a nostro sfavore, come l’alibi perfetto: noi siamo infatti vittime per definizione, cosicché non possa essere umanamente possibile infierire ulteriormente su di noi. È una specie di imprinting: la vittima non esplicita comportamenti aggressivi, apre le braccia, si mostra arrendevole… e appena può te lo mette nel culo.


Queste sono le donne: le portatrici “sane” dell’evoluzione dell’aggressività maschile, ovvero di un’aggressività che ha sublimato i mezzi diretti della guerra degli uomini in armi ancor più efficaci che ti sanno uccidere con una sola parola o con un falso sorriso.


Non c’è da stupirsi. Bisogna solo riprendere le armi in pugno e ripristinare il gusto e l’odore del sangue… bisognerebbe, come in questo caso, non indugiare e affrontare direttamente il volto angelico di questa troia travestita da pia donna, ridurla in poltiglia nemmeno buona per cibo per gatti e gettarne quel che resta nelle latrine della stazione dei treni… non prima di averci pisciato sopra.

Amen