giovedì 25 dicembre 2008

STRANE CREATURE NATALIZIE. MA UNA VACCA PUO' GUIDARE UNA SLITTA?


Vento in poppa. La nostra invidia del pene ha il vento in poppe… grosse e polpose poppe. Ecco, sì, più o meno come la mentecatta (eufemismo estremo) raffigurata qui sopra, presa non a caso come esempio di quella che io definisco un’occasione perduta… e Dio solo sa quante ce ne siamo perse.
In questo giorni di Natale, il web è stato letteralmente invaso da di immagini come queste. In ogni angolo del pianeta virtuale è stato infatti tutto un fiorire di varianti “sexy” (altro garbato eufemismo) del coglionazzo più rosso-dipinto della storia del consumismo occidentale: Babbo Natale.
Lungi dal voler mettere in discussione i sogni di milioni di pargoletti infinocchiati fino all’età matura, vorrei invece soffermare la vostra labile attenzione – resa difficoltosa da quel pezzo di cotechino non del tutto digerito – sul perché… sul perché di codeste ambizioni.
Noi donne – si sa - siamo soggetti peculiari e non soltanto in quanto portatrici di un miserabile potenziale creativo, ma ancor di più per quell’ineluttabile bisogno di dover sempre giocare la carta sexy con piglio da coniglietta-vacca-graziosa-simpatica-froufrou-e-trallellero-e-trallallà. Alla base di quest’ambizione ci sono ovviamente un paio di convinzioni:
- la prima è che pensiamo di poter essere sempre e comunque capaci di trasformare ogni cesso ammorbante in un cesso profumato col solo uso del nostro tiepido charme, la giusta dose di lingerie rosso-porco, tette carrucolate simil-bovine e sguardo da pornostar in pensione;
- la seconda – anche peggiore della prima – è che ogni cosa appannaggio degli uomini può essere agevolmente rivisitata, copiata e incollata grazie al nostro cervello magro e al nostro bisogno di pari-opportunità a tutti costi. D’altronde – e questo lo pensiamo veramente – noi siamo capace di fare quello che fanno gli uomini… e anche meglio. Con una”simaptica” spruzzatina di peperoncino.
Insomma, qual è il problema? Non c’è nessun problema, anzi questo nostro sgambettare maldestramente con le mutandine riempite di qualche appassito cetriolo è la soluzione… la soluzione al nostro bisogno di appropriarci di qualcosa che non avremo mai. Neanche con una prodigiosa fallo-plastica.

Il punto è, vedete, che il risultato è sempre discutibile. Insomma, c’è da qualche parte del globo qualcuno realmente interessato a queste varianti uterine? Si, ok, il pisello flaccido del vostro compagno abbisogna di un aiutino… ma il Viagra non basta?
Ma la questione delle questioni è: siamo davvero sicure di aver sortito il giusto effetto?
Continuiamo a lamentarci come cagne gravide che ci maltrattano, che ci sottostimano, che ci usano, che ci vedono solo in posizione “orizzontale”, ma quello che mi chiedo è: noi cosa facciamo per opporci a tutto questo? Bella domanda, nevvero?

Da quel che si vede in giro, non solo ci mettiamo in coda per i provini, ma ci vantiamo per i nostri traguardi estetici: l’unica cosa che non saremmo mai capaci di sacrificare. Detto in altre parole, cavalchiamo l’onda… e quanto ci piace!

No, care amiche, non sono qui per farvi la morale – chi cazzo se ne fotte se la vostra posizione preferita non raggiunge i 20 cm dal suolo – quello che vorrei per questo Natale è solo un po’ di sincerità. Nulla di plateale, intendiamoci, giusto un po’ di auto-critica necessaria a capire che, se il mondo va come va, non è solo colpa degli maschi (terzo ed ultimo eufemismo), ma anche nostra. E la colpa è anche nostra perché non siamo capaci di restare vestite davanti ad un uomo? (nessuno ci obbliga… se non il desiderio di metterla in quel posto alla nostra nemica del cuore)
Ancor di più vorrei comprendere perché - anche quando dovremmo essere interamente vestite di rosso, bardate di soffice pellicciotto bianco, coperte da una folta peluria bianca - ci presentiamo in codesto modo?

Qualcuna, ovviamente, potrebbe obiettare che se fossimo così nessuno ci distinguerebbe da un uomo. Ottimo, e non è questo quello che volevamo? Non volevamo essere come gli uomini?
E d’altronde solo qualche sgallettata pensionata potrebbe esigere da Babbo Natale un pacco dono turgido e durevole.

Insomma, io continuo a non capire: questa processo di “sexyzzazione” del tutto-cosmico non lo capisco davvero. Perché questo bisogno di essere vacche-forever? Non sarà per caso che assecondiamo semplicemente la nostra indole? Non sarà per caso che sentiamo tutto questo coerente con il nostro modo di essere?
C’è qualcosa che mi sfugge, lo confesso.

Buon Natale. Anzi no… non vorrei proprio avervi sulla coscienza. Il mio psicanalista dice che sono prossima alla guarigione e che non devo esagerare con i sensi di colpa... potrebbe piacermi troppo.

domenica 14 dicembre 2008

A NATALE, REGALATI UNO STEREOTIPO



“A Natale bisogna essere più buoni”. Io questa frase me la sarò sentita ripetere si è no una volta l’anno negli ultimi trentacinque (quando andava bene) , ma quest’anno, differentemente dall’opaca acquiescenza degli anni precedenti, ho deciso di voltare pagina, decidendo repentinamente di ribellarmi a questa gran cazzata dell’albero, del presepio, dei cenoni interminabili… ma soprattutto delle palle di Natale.

C’è chi tutti gli anni ne compra una mezza dozzine per rimpinguare lo sguarnito fuscello di plastica, c’è invece qualcun altro – me per esempio - che aspetta Natale per svuotare gli armadi e l’anima di quelle palle che anno dopo anno riempiono copiosamente la propria coscienza.

Io quest’anno mi sono regalata una vagonata di sincerità… e un badile; la prima per mettere a nudo alcune false verità storico-culturali, l’altro per seppellire il più alto numero di coglionazze patentate - dotate di SUV - graziosamente denominate “mamme d’oggi”.

Il detto recita ”di mamma c’è ne una sola”… ed io ogni volta mi ripeto ossessivamente “Per fortuna! Per fortuna!!!”. Questo è infatti uno di quegli strani momenti della vita in cui ringrazio Iddio per averci dato di default questa enorme BOTTA DI CULO. Perché, diciamocelo francamente, nulla è più nocivo al mondo delle mamme… dopo l’amianto.
Vi starete chiedendo – ma forse già lo immaginate – perché questo travaso di bile uterina ad una settimana esatta dalla evento più improbabile che sia mai stato elaborato da una mente malata autorizzata per intercessione divina. Beh, datemi il tempo di spiegare, ma prima consentitemi una piccola digressione.
Al termine dei miei lunghi e penosi studi sociologici, credo di aver finalmente identificato le due principali macro-categorie di donne: le single e le sposate. La grande differenza che le separa non è – come potrebbe facilmente essere dedotto – un cerchietto di stupido metallo al dito recante una data che la maggior parte vorrebbe successivamente dimenticare, quanto un’idea… o come la chiamano gli aziendalisti, una vision.
Nelle prime – nelle single – c’è un’idea di “discontinuità”; c’è infatti un desiderio di “rottura” (e quanto rompono le single è noto a tutti), di evoluzione, di emancipazione… di futuro. E questo futuro è solitamente qualcosa di avveniristico dove non c’è spazio per i retaggi culturali, per asimmetrie socio-culturali, per la limitazione del potenziale che ognuna di noi sente come il fattore X della propria vita.
Nelle seconde, c’è invece un’idea di continuità, di tradizione, di saldo ancoraggio ai principi regolatori della vita sociale e biologica. In altre parole, c’è in loro un desiderio di mantenimento dell’identità forte… e più in generale un’idea di mantenimento. Il loro.
Il punto nodale di tutta la questione è che, alla fin della fiera, mentre il primo modello appare a tutte seducente, il secondo risulta alla fine quello vincente. E questo per un eminente motivo: mentre le prime si iscrivono al circolo delle Pari opportunità, cazzeggiano in ammorbanti disquisizioni filosofiche su chi sia il più forte e la prima della classe, se la tirano… e professano obbligate astinenze (chi vuoi che se la fili una cessa logorroica?); le seconde si limitano a sfornare figli e figlie a loro immagine e somiglianza, contribuendo a mantenere inalterato lo status socio-culturale con il semplice uso del passa-parola. E poi dicono che le casalinghe non fanno un cazzo dalla mattina alla sera…

Per tornare a bomba (me le dia tutte, oggi prevedo un genocidio di genere), questa mattina deambulavo pigramente per gli affollati corridoi di un supermercato qualunque per fare un po’ di spesa, quando ad un tratto mi tornò alla mente di dover necessariamente comprare un pensierino per la figlia di una cara amica. Per adesso.
La ragazzina è tanto caruccia: un vero condensato di dolcezza e sorrisi spensierati, una bambina a cui non si può dire di no. E così, con il sorriso stampato sulla faccia e tutte le sane intenzioni del caso, mi avventurai nei corridoi riservati ai giocattoli. Vi giuro, non l’avessi mai fatto. Nell’arco di una manciata di secondi il mio sorriso cominciò a perdere il suo smalto per trasformarsi nel più orrendo degli incubi ad occhi aperti: corridoi improvvisamente scoloriti in un monocromatico rosa shopping che indulgevano, quando andava bene, ad un più intenso lillà. Ma questo era niente: fatine griffate, atletiche e siliconate pretty-girl, principesse, sirenette spuntavano da ogni rosea confezione recante il marchio CE… come dire che non sono tossiche. Certo se le mangi non ti succede nulla, ma se ci giochi vedrai che qualcosa ti succede…

E poi c’erano in bella mostra tutti i tipi più avveniristici di necessaire per crearsi i gioielli di plastica (siamo abituate alla bijouterie) , per fare deliziosi manicaretti col cucina portatile, per rifarsi le unghie a mo’ di puttana thailandese, per decolorarsi i capelli (tutti le bambole sono bionde. Mah!), per tatuarsi il corpo di fatine glitterate, per fare la mamma della bambina della bambina, l’infermiera, la parrucchiera, la stilista, l’adescatrice di uomini più anziani, la badante, la maestra. Insomma: un condensato di strumenti-ancora capaci di affossare anche la più promettente delle femministe nonché di annebbiare la più chiara idea di evoluzione culturale.
E il lavaggio del cervello continua con l’abbigliamento – tutto rosa, neanche a dirlo – per continuare con gli accessori rosa del PC, la macchina fotografica… il tutto condito da tulle, organza, profumo di fresie, rosso fragola.
Non un oggetto sembrava neppure vagamente ipotizzare una scelta intelligente, un’alternativa valutabile. No, La cosa più drammatica di tutto il quadretto era ovviamente le mamme, improvvisamente divenute le appassionate consigliere del gusto… e le più agguerrite detrattrici dello spirito critico. Almeno fino a 14 anni.
A partire da questa età, le mamme – le stesse di cui sopra, ma con un colore di capelli più finto di prima – cominciano infatti a chiedersi come mai la propria figlia si diventata così mignotta… e soprattutto così precocemente. L’invidia, si sa, è il tratto caratteristico di noi donne… e di certo la matematica non è mai stata la nostra materia preferita, perché forse una preventiva, semplice somma di tutte le minchiate, le idee preconcette, gli stereotipi le avrebbe aiutate a capire che forse non sono gli uomini a non consentire l’evoluzione di un modello culturale. Le donne di oggi, sono le bambine di ieri… e da quando in quando l’educazione è stata in mano agli uomini? Si care amiche, smettiamola di addossare le colpe delle nostre sconfitte agli uomini; ci piace portare la gonna, sempre o a convenienza, ma non siamo neppure cerebralmente pronte ad ammettere che la fossa ce la scaviamo benissimo da sole.
Ci piacciono i vantaggi dell’essere donna, ma urliamo “discriminazione” se gli altri ci vedono come noi siamo.
È questa la nostra sconfitta, e le cose non cambieranno finché non ci ostineremo a sviluppare operazioni culturali dotate di senso: cominciamo dunque a boicottare le case produttrici di giocattoli, le riviste che dipingono come noi non vorremmo essere, a fare lavori diversi, a truccarci e profumarci di meno, a fare meno le puttane.

Cominciamo ad essere davvero coraggiose. Facciamolo davvero perché, fintanto che percorreremo questa strada, il totale della somma sarà sempre e soltanto una bambola di gomma. E neanche di buona qualità.

Buon Natale

domenica 7 dicembre 2008

A NATALE... NELLE VOSTRE COSCIENZE. NON SI SA MAI... POTREBBE SERVIRE

EDIZIONI PENDRAGON

Le mie editor(s) si sono divertite a cercare di stemperare il linguaggio acidulento del mio libro d'esordio. Io gliel'ho impedito.

Ad esser sincera stavano quasi rischiando un esaurimento uterino. poi, alla fine, si sono divertite anche loro.

e adesso tocca a voi!!!

Questo tomino è già in libreria...
e a voi non resta che richiederlo.
Alcune recensioni:
NEW YORK MAGAZINE: "... esilerante, pungente come mai nessun libro è stato capace di essere. Amanda Nash dipinge con puntualità e dettaglio ironico le donne di oggi. Sicuramente sarà querelata. "
LE MONDE: "Incredibile slancio misogino in queste pagine che sputano fuoco sulle nuove tendenze dell'essere donna oggi. Divertimento assicurato... per chi sa leggere tra le righe."
THE TIMES: "Donne vere alla riscossa. Finalmente qualcuna s'è accorta che il modello Spice girl non funziona più. Un tocco sociologico e una spruzzata di peperoncino"
PRENOTATE SUBITO LA VOSTRA COPIA!!!

domenica 30 novembre 2008

25 NOVEMBRE: GIORNATA PER LA LOTTA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE. IMMANE CAZZATA!!!


Notizia flash: dopo quella madornale minchiata denominata “8 marzo” – noi donne possiamo da oggi congratularci a vicenda per aver strappato un altro giorno al calendario di quegli zotici col pisello tra le gambe detti anche uomini. Ma l’obiettivo è lontano e la sproporzione è ancora troppo schiacciante: restano peraltro altri 363 giorni di differenza tra noi e loro.

Eh già, è proprio così, il 25 novembre è stato scelta per celebrare la lotta contro la violenza sulle donne. La notizia – vi dirò – mi ha lasciato perplessa anche perché stavo cercando di capire se nel medesimo dannato calendario esistesse un equivalente giorno in cui si celebra la lotta contro la violenza sugli uomini. Ho controllato, e tale data non esiste. Cazzo, proprio non esiste… e questo non va.

Siamo sempre state certe della violenza da parte degli uomini, ma chissà come mai questa stessa consapevolezza non ci investe in quanto portatrici di un’eguale o forse anche più efferata violenza… quella sugli uomini. Sarà forse perché in noi c’è sempre stata quella naturale predisposizione innata a sentirci vittime del tutto; del maschio, della cellulite, del doppio lavoro, delle responsabilità, delle fregature affettive, della depressione. Sarà… ma io credo che tale giorno non esiste per due eminenti motivi: il primo ha a che fare con il fatto che gli uomini non se ne vanno in giro a lamentarsi… come femminucce. Il secondo riguarda invece la peculiarità della violenza femminile.

La psicologia chiarisce infatti che gli uomini sono di certo più diretti nell’espressione dell’aggressività: ti mollano un sano ceffone, ti scompigliano il make-up falso-battona, ma poi tutto sommato ritornano nei ranghi. Il punto a loro sfavore è ovviamente la visibilità del loro “torto”. Quell’occhio nero non è infatti sfuggito allo sguardo strabico di una qualsiasi cretina di vattelapesca centro sociale a protezione delle donne indifese, le quali, con interviste e oculate perizie, si limitano a costatare gli effetti piuttosto che indagare le cause. Risultato dell’intera operazione? Un oscar alla carriera per la miglior interpretazione in assoluto dopo quella di Francesca Dellera ne “La Bugiarda”.

Noi ragazze, per converso, non solo siamo sempre solite parlare del mostro che è fuori di noi senza nemmeno avere il minimo sindacale di autocritica tale da consentirci sgamare “l’assassina che c’è in noi”, ma neanche la capacità critica di capire il perché di quell’occhio stile panda-in-estinzione. No, nulla di tutto questo. La ragione – come le rimanenti virtù teologali stampate nel nostro DNA di default – è sempre e soltanto una nostra opzione… e noi di certo non ci lasceremmo sfuggire l’occasione di rivendicarla in ogni situazione. È un po’ come quando i neri assumono sempre e a torto di essere sempre e comunque loro le vittime delle discriminazioni, anche quando le cose vanno diversamente. E siccome la nostra creatività non ha limiti, anche quando siamo noi dalla parte del torto, invochiamo la legittima difesa.

Il punto è , cari amici e pessime amiche, che nella realtà delle cose la nostra aggressività si caratterizza per la silenziosità delle sue armi e per l’agire indiretto. Si, è vero, non è una violenza che genera effetti visibili, ma è pur sempre una violenza… e di certo i suoi effetti hanno una “durata” ben più lunga di un ematoma. E noi questo lo sappiamo. Sappiamo ad esempio – e questo lo sperimentiamo quotidianamente con le nostre pari-stronze amiche e colleghe - che ciò che ferisce non è certo un gesto diretto, chiaro e lampante, quanto un mezzuccio, un dispetto, un’angheria, una parola sbagliata al momento giusto. Non serve altro.

E allora forse, se vista sotto questa prospettiva, la questione assume un rilevanza del tutto diversa e inaspettata: la violenza di cui siamo capaci è l’unica cosa da cui occorre davvero difendersi. Il carico di odio e di astio che sappiamo portare dentro è spesso la causa principale che alimenta e che esaspera le tensioni. Il fatto che non siamo capaci di sferrare un pugno non significa nulla, anzi significa solo che i mezzi che useremo sanno perfino più taglienti e distruttivi di un qualsiasi delle armi utilizzate in uno scontro frontale.

E dunque torniamo a questa storia del 25 novembre, e a tutte le altre cazzate di cui la nostra cara ministra Carfagna si fa paladina. Oh, a proposito, se di certo potremo difenderci dallo stalking – anche ammettendo che siamo solo noi donne a subirlo (tutto da verificare) – cosa potrà difenderci dalle male lingue, da quei micro-comportamenti che proprio danno sui nervi, dalle insinuazioni fatte col sorriso largo, dagli atteggiamenti che ledono l’orgoglio e la dignità personale, dalle mise da mignotta che sappiamo esibire… e da tutti i rimanenti orrori a portata si silenzio che sappiamo all’occorrenza generare con incurante o falsa ingenuità?

La risposta è una sola: nulla e nessuno.

E allora smettiamola di creare falsi miti: quello della vittima tutta al femminile è qualcosa a cui credono (forse) solo gli uomini.

È giunto il momento di evolversi care amiche; miagolare e lamentarsi poteva forse ingannare qualcuno, ma io penso che proprio dovremmo smetterla. Io proprio non ce la faccio più!!! E voi?

sabato 8 novembre 2008

SARAH QUEL CHE SARAH... UN FALLIMENTO GLOBALE


Il 2008 non è un anno che sarà facilmente dimenticato. Mai, infatti, avevamo assistito ad una serie perfetta di fallimenti clamorosi. E se è vero che s’impara più dalle sconfitte che dalle vittorie, allora possiamo dirci prossime ad essere le più erudite creature di tutto l’universo. Buco nero incluso… con buona pace di Naomi Campbell.

La prima della fortuna serie dal titolo “come mi suicido pubblicamente” è stata Miss-perfezione Ségolene Royal: abitino da professoressa, moglie perfetta, vocabolario aulico perfettissimo… tutto perfetto. L’unica imperfezione era quel monolite di venti metri su cui amava ergersi in pieno stile Bernardette. Gli uomini la votarono, sperando di poter fare a lei quello che la Lewinsky fece a Bill Clinton, ma le donne francesi la boicottarono; va bene farsi mettere i piedi sopra da un uomo (ci siamo abituate, no?!), ma un paio di tacchi a spillo… no quelli proprio non avrebbero potuto sopportarli. Che dire? Ségò ha capito in pieno la lezione, altrimenti non si spiegherebbe il nuovo look da samaritana scalza finto-Joan-Baez-in-pieno-Woodstock. Mia sorella – quella con l’Alzheimer – si veste alla stessa maniera e, da che ha smesso anche lei di rompere le scatole in giro, ha ritrovato se stessa. E non è la sola: un anno fa una pattuglia anti-vagabondaggio l’ha riportata a casa dopo un lungo e confuso pellegrinare alla fiera del bianco. Due settimane dopo il tragico evento fu eletta sindaco nel comune di Petralia Sottana.

La seconda in ordine cronologico è stata invece “miss-cieca-di-Sorrento-made-in-USA”, al secolo Hillary Clinton. Nella sua lunga vita ha infatti finto di non aver visto nulla, e men che meno quel bavoso di suo marito sbrodolare penosamente sul vestino azzurro della dolce Monica dalle promettenti doti oratorie… e come superava gli esami orali lei, non lo faceva nessuna. Quest’anno, a dieci anni dal pompino più proficuo della storia, la dolce Hillary ha cominciato a deambulare tra una convention e l’altra (in compagnia di un cane lupo crociato sul dorso) in cerca di un riscatto personale. Ma si sa, quando le cose vanno già male, spesso continuano ad andar peggio: accecata dall’ambizione di fargliela vedere a quel bietolone panciuto ha dimenticato che al contempo l’avrebbero vista anche tutti gli ipotetici elettori. Risultato dell’intera operazione: un conato collettivo di proporzioni simili ad uno tsunami di modeste dimensioni, un marito annoiato e una figlia più cessa di prima (certe mise non le vedevo più dall’ultimo catalogo della Postal market). Sul versante personale, invece, Hillary non ha “visto” nemmeno un voto. Quando si dice il destino…
Ma io, vi dirò, io sarei stata magnanima; io il mio voto gliel’avrei dato… io avrei votato per il Braille.

Nella corsa verso la Casa Bianca (certi retaggi culturali sono duri a morire in fatto di ambizioni domestiche) è poi spuntata lei, Miss-porco-col rossetto-Palin. Fino a qualche mese fa nessuno la conosceva… a parte un manipolo di cerebrolesi dal neurone congelato, che l’avevano fatta governatrice dei bastoncini findus dell’Alaska. Colta dalla sindrome dell’assistente sociale rumena, ha pensato bene che il suo futuro potesse essere tra le braccia e le gambe dell’incartapecorito-ultra-settantenne McCain, sperando di poter godersi il “meritato” potere dopo la sua rapida dipartita.

Abbracciata affettivamente ad un mitra caldo di spara-minchiate elettorali e ad un rouge-gloss n.16 dell’Avon che le dava tanto un’aria da esperta sado-maso per ospizi allegri dal nome accattivante situati in quel di Via-Gra, la nostra donna-donna-uoma dalla vagina letale si è presentata al pubblico statunitense per riequilibrare l’odore di formalina emanato dal toupet del jurassico McCain.

Dopo gli ovvi quanto fragili entusiasmi per la novità scaturita dalla coppia “pornoinfermiera –dentiera rincoglionita” che si sarebbe assicurato almeno il voto di tutte le badanti d’America, le cose hanno cominciato ad andar male… a tal punto che, dopo l’ennesima esternazione di vagina-power e primadonna della piéce – McCain ha pensato di trombarla in itinere, cercando di limitare i danni di un’immagine poco autorevole e vincente. La Palin sperava infatti di convincerci che fosse giunto il momento del remake di Wonder Woman, ma soprattutto che bastasse sventolare il binomio mitra-vagina per conquistare gli indecisi e insabbiare la portata della sua inesperienza politica.

Il giorno prima delle primarie, congedandosi dal palco dell’ultima convention, miss Piggy ha biascicato un flebile: “spero di risvegliarmi alla casa bianca”. Mai previsione fu più azzeccata: la casa bianca c’era… eccome, ma sfortunatamente c’erano anche una paio di croci rosse affisse all’esterno e un enorme scritta indicante “per le camerette imbottite, per di qua!”. Le persone a lei più vicine hanno confermato che tutto sommato “l’ha presa bene” (la vasellina offerta dal partito repubblicano ha sortito il suo effetto) e che ha messo un’ipoteca sulle elezioni del 2012. Non saprei, ma credo che tra quattro anni, oltre all’ipoteca dovrà fare anche un bel mutuo a tasso variabile… per la quantità di rossetto che le servirà per ripristinare la sbobba che ci ha propinato quest’anno.


Questi i fatti. Adesso passiamo ai commenti.
La storia ci ha insegnato – oggi sono molto erudita – che qualcosa non è andata nel verso giusto. Dalla Francia agli USA un’eco si spande portando con sé la buona novella: il modello culturale prodotto dalle nostre nonnine in quest’ultimo secolo si è rivelato fallimentare. Molto. Troppo.

Urge quindi una riflessione, o meglio una riorganizzazione cognitiva della mappa; insomma, dopo esserci incamminate alla ricerca del tesoro, l’unico tesoro che abbiamo trovato è stato un perentorio messaggio dal mondo maschile “tesoro, non rompere i coglioni, i fornelli sono là e la scopa è nello sgabuzzino!!!”

Fuor di metafora, non siamo riuscite a convincere nessuno… o meglio nessuna. È questo infatti il nostro più grande errore. Insomma che gli uomini, i maschi, non credessero in noi ci era ben chiaro dal brodo primordiale, ma che non ci credessero nemmeno le donne… ecco questo lo abbiamo scoperto adesso. Non è chiaro se si tratti solo di assenza di solidarietà tra donne, quel che è certo è che non siamo pronte per alcun sorpasso culturale. E questo soprattutto perché il modello del girl power non solo non incanta, ma non incarna nessuno nuovo ideale… è solo aggressività e desiderio di rivalsa, ma in sé è un’immagine vuota che si sbriciola al minimo accenno di razionalità: sostantivo femminile, ma solo sul dizionario.
Non è più tempo di alibi e di false identità.
A proposito, non chiamatemi più Amanda… il mio nome è Nash. John Nash

domenica 26 ottobre 2008

LA DONNA CHE NON C'E'...


“Perché odi le donne, Amanda?” È questa la classica domanda che tutti mi pongono quando, dopo aver letto i miei post, vengono investiti dall’onda anomala della mia energia misogina.
Spesso me lo sono chiesto anche io, e finalmente credo di aver trovato la risposta. Ma andiamo per gradi, altrimenti io che ci sto a fare qui?
Se, come credo, siete rimasti sgomenti davanti all’immagine di cui sopra sono certa allora che cominciamo già ad intenderci… perché, a dire il vero, io le donne le vedo proprio così: monche.
Intendiamoci, quella a cui mi riferisco, non è altro che un’immagine mentale; è la rappresentazione simbolica di come apparirebbero le donne se le stesse riuscissero a proiettare la propria immagine su una parete bianca.
Vi starete adesso chiedendo come faccio a conoscere, a discernere, questa immagine se ogni donna la porta dentro sé? Diciamo pure che non ci riesco, e che non sono neppure dotata della capacità di leggere nel pensiero altrui.

E dunque? E dunque io ci riesco, limitandomi semplicemente ad osservare.

Ora, tornate per un attimo a riguardare il corpo della donna raffigurato in alto… e ditemi cosa vedete?
Non so voi, ma io vedo semplicemente una donna in posizione pronta ai blocchi di partenza, ma vedo anche una donna senza gambe.

La nota dissonante è invece la “qualità” della sua ambizione: fuori dalla sua portata… dalle sue possibilità.
...E poi vedo una paio di protesi. Sapete voi cos’è una protesi? La protesi è in genere un “prolungamento”; è l’estensione concettuale delle capacità non possedute dalla persona che le indossa.
E così, una sedia a rotelle aiuterà il suo utente a spostarsi; un apparecchio auricolare a sentire; una dentiera a mangiare… un telecomando ad accendere il televisore, un’auto a spostarsi, una forchetta a mangiare.

C’è però una cosa che non mi convince, anzi una serie di cose che non mi convincono: un colore fasullo di capelli, un colore fasullo sulle labbra, un colore fasullo sulle guance, uno sugli occhi, un profumo fasullo, un paio di ciglia fasulle, un set di unghia fasulle, un colore fasullo sulle unghia fasulle. Poi la lista del fasullame si arricchisce di altri elementi: un reggiseno che solleva, che spinge, che stringe; un tanga che scoscia… una guaina che modella. E ancora: un po’ di silicone qua, un po’ di botulino di là, una liposuzione dall’altra parte, uno zigomo smussato, un setto nasale piallato, qualche costola in meno, un imene riverginizzato.

Le donne in questo ultimi due secoli hanno imparato a far uso delle protesi, e in certo qual senso hanno incominciato a provarci gusto…, anzi hanno provato gusto a vedersi sempre più incomplete, e per converso sempre più bisognose di protesi che le aiutino a “ripristinare” qualcosa di perso.

Il punto, vedete, non è cosa “sarà” la donna nella foto grazie alle sue protesi, ma cosa “è” in realtà la donna senza.

Nulla. La donna senza le sue “belle” protesi non è nulla… nulla che valga la pena di amare. La donna oggi è solo un’accozzaglia di sovrastrutture tenute insieme dall’ambizione di apparire qualcosa che non è: è solo suprema vanità, vanità allo stato puro; inutile dispendio di energia vitale.

E per chi avesse voglia di un salto nella più ammorbante spazzatura culturale femminile, ecco bello e pronto l’ultimo ritrovato in fatto di superfluo protesico.

Fare ginnastica sui tacchi a spillo. È la nuova specialità dell´estate introdotta nelle palestre milanesi. Questa tecnica, che spopola in America, è amatissima da donne super mondane come Paris Hilton e Victoria Beckham ma è praticata anche da attrici meno esibizioniste come Julia Roberts che, in palestra, tonifica il fisico issata su tacchi altissimi. Lo stretching delle dive è sbarcato a Milano nel circuito del Virgin Active di Corsico e Bicocca ma sta prendendo piede un po´ dappertutto. Complice la moda che, dopo aver regalato alle donne la comodità delle ballerine ultrapiatte, adesso cambia registro e rilancia i tacchi da vertigine dai 10 ai 12 centimetri, quelli che mettono a repentaglio la caviglia.«Imparare a stare sui tacchi a spillo è un ottimo allenamento per ritrovare sicurezza e femminilità - spiega Lucia, allenatrice al Virgin Active - questa è una ginnastica che fa bene alle gambe e migliora anche l´autostima». Lucia, fisico da cubista, esperta di fitness ed estimatrice della cultura zen, la prima cosa che insegna è quella di avere un portamento fiero e consapevole. «Le donne che non hanno familiarità con i tacchi tendono a buttare in avanti spalle, sono disarmoniche e sbilanciate - spiega - invece per camminare bene basta mettersi davanti a uno specchio, tenere gli addominali e i glutei contratti con le spalle abbassate e il collo proteso verso l´alto». Lucia assicura che una volta imparata questa tecnica «basta mettere un piede davanti all´altro, con il ginocchio leggermente piegato, e si fa concorrenza alle modelle». Imparare a camminare è fondamentale ma non basta. Lo stretching sui tacchi a spillo, se praticato con costanza, allunga la muscolatura delle gambe, dal polpaccio alle cosce, e le rende anche più sexy. «Questa è una pratica che può contribuire a scolpire la gamba - racconta Lucia - Sharon Stone è una tra le più convinte sostenitrici di questi esercizi. Le sue gambe sono toniche e sensuali allo stesso tempo. E i tacchi sembrano naturalmente incorporati nelle sue gambe». Ma per raggiungere i risultati di Sharon Stone ci vogliono parecchie lezioni. Bisogna avere la costanza di passare ore e ore in palestra, sottoponendosi a esercizi che servono ad allungare e a rendere più sottili i muscoli. Il tutto senza mai dimenticare di portare in palestra i tacchi a spillo, perché senza quelli la lezione non si comincia neppure.

Sto per avere un orgasmo di misoginia. Cazzo se siamo messe male!!!

domenica 19 ottobre 2008

LE PENE DELL'INVIDIA. E VICEVERSA




Un recente studio apparso sulla rivista “Vagina, pene e botox” – mensile di varia umanità persa sulla strada del nulla - ha stilato una classifica delle pene a cui andrebbero incontro il 90% delle donne.

Il terzo millennio, infatti, non è solo lo spazio temporale riservato al surriscaldamento del pianeta, all’inquinamento e alle malattie globali sessualmente trasmissibili; è anche il millennio delle sofferenze delle donne. Se l’uomo – quello col pennuto tra le gambe – ha decisamente incrementato il proprio livello di soddisfazione e di autorealizzazione sociale, la donna ha, per converso, percorso una strana parabola interiore che l’ha portata ad una sempre maggiore insoddisfazione.

L’articolo, scritto da autorevoli menti scientifiche dopo quasi un decennio di rilevazioni sul campo, si pregia di riportare una classifica delle cose e delle situazioni che maggiormente caratterizzano le pene delle donne oggi. Dopo molteplici elaborazioni statistiche sulla base di un modello di analisi fattoriale bi-variata è stato individuato senza alcun margine di errore il motore, il fattore, delle pene: l’invidia.

Come è ben noto si caratterizza come desiderio ambivalente: di possedere ciò che gli altri possiedono… il che esemplifica il ben noto concetto “dell’invidia del pene”, di cui parleremo tra poco. L'enfasi è, quindi, sul confronto della propria situazione con quella delle persone invidiate, e non sul valore intrinseco dell'oggetto posseduto da tali persone, e questo è soprattutto vero se si considera che l’intimo desiderio di una donna è quello di avere anche solo per un giorno la possibilità di appropriarsi di quel generoso (oddio, avercene) pacco dono biologicamente dato ai maschi. Infatti, benché molti uomini non sappiano che farsene (oltre che scuoterlo vigorosamente dopo una goduriosa minzione) l’ammontare dell’invidia non sembra subire un decremento, anzi.

È interessante, poi, considerare l'invidia come il peccato "opposto" alla superbia: mentre la superbia consiste in un'eccessiva considerazione di sé, l'invidia è caratterizzata da una bassa autostima e da una concezione esagerata degli ostacoli e delle difficoltà… e vorrei ben dire. Insomma, hai voglia di ipotizzare il trapianto di un cicciolo mal tolto ad un cadavere ancora caldo di rigor mortis… La questione infatti non ha realmente a che vedere con l’appropriazione , quanto con tutto l’insieme di simboli che questa portentosa minchiuzza porta con sé: secolare potere, spalle larghe geneticamente modificate, peli superflui che nessuno noterà, igiene intima trascurabile. Il punto è quindi che essere uomini ha i suoi vantaggi (a parte un notevole risparmio in inutili cosmetici) , e come ogni buon saldo di fine stagione tutte le donne vogliono metterci le mani sopra.

L'invidioso (invidiosa è più appropriato, ma insinua il dubbio che io ce l’abbia con le mie pari-stronze) può rivolgere la propria invidia non solo verso oggetti materiali, ma anche verso presunte doti possedute dall'invidiato: per esempio, una particolare avvenenza, intelligenza o capacità, uno spiccato fascino. Ma cerchiamo di non essere troppo ottimisti: queste doti negli uomini non esistono, ma noi donne amiamo immaginare che essi li posseggano. Infatti, le donne sono generalmente invidiose di tutti gli uomini, e in un certo qual senso, non appena possono, cercano di modificarsi fisicamente e caratterialmente nel tentativo di riprodurne le fattezze.

In questo ultimo secolo ne abbiamo viste di tutti i colori: donne che si vestono da uomini, donne muscolose come uomini, donne che nel lavoro imitano gli uomini, donne che odiano le donne come gli uomini (e forse anche di più), donne che sviluppano modi da uomini (se avete mai visto una lesbica pisciare… sapete bene di cosa parlo), donne che modellano il loro potere sullo stile degli uomini. Detto in altre parole le donne sono massimamente delle scimmie: esseri inferiori che non sanno fare alcunché di originale, salvo che convincersi che solo in questo modo piaceranno agli uomini.

Dopo vari tentativi, e conseguenti fallimenti, le donne hanno appreso - dopo circa un secolo – una nuova strada; visto che non potevano farsi tutte il trapianto del cazzo e del cervello, hanno iniziato a reagire malamente, disprezzando e sminuendo l'invidiato, perché, ai loro occhi, questo è colpevole di evidenziare ciò che l'invidiosa non ha: una naturale inclinazione ad essere maschio senza nessuno sforzo.

Negli anni ’90 abbiamo invece assistito al girl-power: un’orda di sgallettate rese euforiche da una malsana auto-adorazione condita da opportune sniffatine di genuino lesbismo. L’evoluzione stilistica (che eufemismo!) della non-catante Madonna (che ottimismo!) rende chiaro questo passaggio, e se vi siete persi/e qualcosa vi consiglio la biografia non-autorizzata scritta dalle sapienti mani del fratello della non-voce della pop music.

Ora, se è vero che l’invidia del pene è una legge universale, è stato anche chiarito che nella maggior parte dei casi l’invidia è rivolta verso lo stesso sesso: gli uomini invidiosi lo sono, in genere, di uomini e le donne di donne. Dal lato femminile, l'invidia, che per i secoli addietro verteva quasi esclusivamente sull'avvenenza e sulla capacità di seduzione, da qualche decennio a questa parte, con il cambiamento del ruolo che la donna riveste nella società, ha cominciato ad "accostarsi", per molti aspetti, a quella degli uomini. (aspetti economici, politici, patrimoniali, professionali, culturali, intellettivi, sessuali)

Saltiamo a piè pari tutti questi aspetti e concentriamoci solo su quelli politici, poiché in questi ultimi anni l’agorà si è spostata definitivamente sulle assurde e anguste stanze del mondo politichese in avanzato stato di decomposizione morale.

Negli ultimi mesi soprattutto, il teatrino dello scontro delle donne si è spostato tra il parlamento e la televisione, evidenziando una coppia di eroine e morfine da tempo in singolar tenzone: la Carfagna e la Guzzanti.
La prima quasi orba, a tal punto che per vedere l’ordine del giorno del camera dei deputati deve avvicinarsi a preoccupante prossimità da qualsiasi pantalone maschile non più alto di un metro. E si vede che orba soprattutto perché in ogni fotografia appare con gli occhi sgranati e imploranti, manco se non mangiasse da tre mesi… o non scopasse da due anni. E credo che si tratti di quest’ultima ipotesi; sapete, dopo il trauma cranico di trovarsi davanti il penoso e rugoso divin augello del cavaliere servito carpon carponi, penso che a qualunque donna passerebbe la voglia di pasti caldi e di mucillagine.
La seconda invece ci vede benissimo, e ci vede talmente bene da risultare quasi scomoda. Il troppo stroppia… soprattutto se questo va in contrasto con il lavaggio del cervello agito dalle tv (ormai monopolizzate da un gruppo di esseri che ci vorrebbero solo dei perfetti consumatori abbalenghiti dagli sconti e dalle vendite video-trasmesse).

Dopo una serie di scaramucce, in cui la Guzzanti sparava il vero e la Carafagna negava l’evidenza siamo giunte ad una delle più eclatanti performance di femminile psicologia. Qualche settimana fa, prima che la bronchite mi tranciasse la mano (lo so, speravate in una mia dipartita) , nel corso di una puntata di Matrix la Carfagna, intervistata da Mentana, nel tentativo (forse) di giustificare a suo modo la condotta della comica ha in realtà tirato una bordata niente male, definendola sostanzialmente instabile di mente: «L'ho citata in giudizio e sono in difficoltà perché la signora Guzzanti mi fa compassione. Poveraccia, non credo sia una persona solida, mi sembra fragile mentalmente».

Il tono caritatevole della Mara – tipico delle soap di canale 5 o di rete 4 – sembra quasi darle ragione… nel senso che, agendo su uno dei comportamenti tipici delle invidiose (lei d’altronde un cervello non ce l’ha mai avuto), tenta di denigrare la Guzzanti con stupide frecciatine neanche buone per farci un bonario sorriso. Infatti ella, non avendo alcuna argomentazione al suo arco non può certo controbattere. No, può soltanto fare, come farebbe qualsiasi stupida invidiosa: colpire irrazionalmente, sperando di fare centro.

Non contenta della portata delle sue minchiate cosmiche e dei suoi giochini infantili, la ministra delle pari-stronze minorate ha colto la palla al balzo (in questo è bravissima… soprattutto con le palle “basse”) confessando, con un latrato molto simile a quello della più nota Goretti, il suo scoramento in merito alle insinuazioni sui suoi rapporti con il Cavaliere: «Ho notato molta invidia da parte delle donne».

Gent.ma Carfagna, io non sono un’esperta di pompe a domicilio, ma mi consenta una piccola domanda: ma di cosa dovremmo essere invidiose? Il Cav non è mica Rocco Siffredi… e di certo noi non ci sbraneremmo per un giocattolino di così modeste dimensioni. E poi, scusi, niente di ciò che la riguarda è passibile di invidia. La sua incredibile evoluzione da velina a ministra non convince nessuno: le mancano le argomentazioni.
Non aggiungo altro. Non serve.

Cordiali saluti

sabato 4 ottobre 2008

DA 154 A ZERO (titolo altamente filosofico)


Le ultime teorie sul Alzheimer affermano che essa sia una patologia a carattere degenerativo del sistema nervoso centrale. L'esordio sintomatico è a carattere "insidioso": i primi sintomi sono lievi, sono difficili da riconoscere e da distinguere dalle disattenzioni di una persona anziana sana. Anche nel momento in cui si riconosce il carattere patologico di alcuni comportamenti non è semplice arrivare ad una sicura diagnosi differenziale, in quanto alcuni sintomi sono comuni ad altre patologie, quali la depressione e la demenza multiinfartuale.


All’ultimo simposio svoltosi a Hollywood, gli scienziati hanno presentato i risultati su uno studio imperniato sulle differenze di genere. Il convegno, per la portata delle sue scoperte, è stato condotto a porte chiuse onde evitare il collasso dello showbiz… nonché il crollo degli esosi cachet di alcune tra le più illustri star… dell’omonimo brodo. Brodo vegetale, ovviamente.


Oh, a proposito di vegetale, mi vengono in mente le strabilianti performance neuro-vegetative di uno dei testimonials chiamati giustappunto in causa sull’argomento “sintomi dell’azzeramento intellettivo in attrici sprovviste di slip”. Io non c’ero, ma vi assicuro che un mio amico che avuto l’estrema sfiga di presenziare, ha assistito a delle scene di panico, e questo soprattutto perché da che mondo è mondo le attrici americane pur di presenziare e di farsi vedere in pompa magna (in flagrante fellatio a Giuliano Ferrara) non si perderebbero neppure il varo di un pattino sulla spiaggia di Rimini. E chiaro?!


Nonostante la ressa, gli spintoni e i calci negli stinchi ad opera di prestigiosi decolleté tacco 20 (di gran moda quest’anno per chi ambisce al suicidio da Trinità dei Monti) alla fine l’ha sputata Sharon. Ariel, Ariel Sharon. Ariel Sharon, ex premier israeliano, era stato invitato, ma all’ultimo momento, visto il protrarsi del coma dovuto ad un aneurisma cerebrale (2006), ha dovuto declinare l’invito… e così, giusto per non rifare tutti gli inviti e i segnaposto al pranzo d’onore gli organizzatori hanno invitato un altro Sharon.
Stone, Sharon Stone.

Colpita da aneurisma qualche anno prima (2001), Sharon condivide con Sharon un aneurisma di troppo, ma ella – l’eroina di mille flop cinematografici – non è stata così fortunata… e nemmeno noi. Noi spettatori intendo.


Chi non ricorda il favoloso accavallamento di gambe senza slip di Basic Instict? E chi non ricorda il favoloso accavallamento di gambe senza slip di Basic Instint 2? Si, lo so, spesso la carriera di una vera attrice si evolve lungo un continuum recitativo di altissimo spessore nel tentativo di assomigliare alla recitazione di Manuela Arcuri o a quella di Francesca Dellera. Fortunatamente c’è il doppiaggio e allora qualche attricetta riesce a "far-la Franca". Valeri, Franca Valeri.


Ad ogni modo, credo che sia stata la folgorante carriera dell’attrice ad aver spinto il simposio degli studiosi di Alzheimer a farne la nuova icona ammorbata della suddetta malattia.


Uno dei principali sintomi dell'Alzheimer è l'amnesia anterograda, ovvero l'incapacità di ricordare cose recenti, o più precisamente eventi occorsi dopo l'insorgenza di una patologia. I pazienti affetti da demenza di Alzheimer tendono ad avere un (relativamente) buon ricordo delle cose passate ma a non ricordare le cose nuove, recenti.


Stralcio dell’intervista all’attrice
Domanda (D) – Sharon, Sharon… per favore qualche domanda: “che ne pensi del primo capitolo di Basic Instict?”
Risposta (R) – “Beh per me è stato un trampolino di lancio, anche se, devo ammettere, che mai più farei un filmaccio del genere. Insomma, si, sono parti per attrici fisicamente procaci, ma nulla di questo si addice ad una compassata professionista del mio calibro

D – Perdona Sharon, scusa… ma, ma allora perché hai deciso di fare il sequel ad oltre 10 anni dal primo?

R – Sequel? Ma di che parla? …figurarsi fare la parte di una scrittrice mezza battona e mezza lesbica. Ma scherziamo, lei mi confonde! Io sono un’attrice con la “A” maiuscola. Ma lei ha visto i miei recenti film? Lei sa cosa ho fatto in questi ultimi anni?

D – Beh, a dire il vero, a parte qualche pubblicità di porte scorrevoli e di paccottiglia in silver plate… non saprei. Ma sa forse non ricordo… Può dirci allora cos’ha fatto in questi ultimi anni?

R - ma come si permette!! Che orrore, un giornalista di cinema che non sa cosa ho fatto in questi anni. Io, io (disse ella aggrappandosi alla prima tenda a portata di mano) in questi anni ultimi anni ho … io ho… ehm ho… oh beh adesso non mi ricordo, ma mi faccia tornare a casa per documentarmi e poi la chiamo. Un’ultima cosa: cos’è che devo cercare? Qual è il soggetto? Come mi chiamo?



Altri sintomi sono l'agnosia, ovvero l'incapacità di riconoscere cose comuni, e l’anomia ovvero l’incapacità a denominare un oggetto, pur riconoscendolo. Un soggetto affetto da anomia può utilizzare perifrasi, sinonimi, termini assonanti o neologismi per riferirsi all'oggetto di cui non ricorda il nome.


Durante il coffe-break abbiamo incontrato Sharon Stone al tavolo del buffet mentre aveva un appassionato dialogo il cameriere addetto al catering.

- Cameriere: Cosa le posso servire?

- Sharon: ma non saprei… sono incuriosita da tutte queste cose deliziose, e mi dica cosa sono quelle cose (chiese indicando un oggetto sul tavolo)… mmm che bella forma, ma me ne dia solo una mezza porzione. Sa sono a dieta…

- Cameriere: mi spiace signora, ehm non sono come dirlo… ma vede non sono attrezzato per dividere un bicchiere in due parti. Se vuole le posso servire un buon tramezzino…

- Sharon: tramezzino… tramezzino. Che d’è??? No no, mi lasci indovinare: e forse qualcosa che si mangia? Un aiutino, please!!! Fa rima con pompino, ma sento che non è la stessa cosa…



Vi è poi il disorientamento temporale se il paziente non sa rispondere alle domande
"che giorno è oggi", "in che mese siamo, in che stagione, in che anno". Naturalmente più è grave la discrepanza, maggiore è il disorientamento. Vi è disorientamento spaziale se il paziente non sa rispondere alla domanda "dove ci troviamo ora".


In ultima analisi, vi sono i cosiddetti “Deficit intellettivi”, che riguardano un significativo peggioramento delle capacità di ragionamento, pianificazione e giudizio; quindi i Sintomi psicotici e modificazione della personalità, a causa dei quali il malato può assumere comportamenti bizzarri, o aggressivi, comunque significativamente differenti dal profilo di personalità pre-morboso. Fra i sintomi psicotici si annoverano allucinazioni, paranoia e pensieri non realistici.


Al termine della convention, dopo una standing ovation di cui la nostra amica non ha capito una nespola matura, ha avuto luogo una conferenza stampa.

Eccovi in esclusiva uno stralcio:

- Sharon: grazie, grazie! Sono molto orgogliosa di essere stata invitata qui… qui… qui… a… a … , beh, insomma qui. Ma francamente sono un po’ perplessa, poiché, a dire il vero non mi è chiaro perché io sia qui a … qui a.. qui a… al chiuso.
- Giornalista 1: signora Stone, non vorrei turbarla, ma lei è qui a Lugano perché, a parere dei più eminenti studiosi, lei sia il caso più eclatante di Alzheimer. Che ne pensa?
- Sharon: Alzheimer… mmm questa parola non mi giunge nuova. Anyway, qualunque cosa sia non è cosa mi che riguardi, chiaro!!!!
- Giornalista 2: stia calma signora Stone, nessuno sta insinuando nulla, è solo che… è solo che… beh veda, non è che in questi ultimi tempi lei sia apparsa molto lucida. Mi perdoni l’espressione…
-
Sharon: io non so proprio a cosa si stia riferendo. Ma lo sa che quando avevo 17 anni il mio QI era a 154. Ero un genio…
- Giornalista 2: appunto “era”…
- Sharon: cosa vuole insinuare, a che si riferisce? Che giorno è oggi? Dove mi trovo? Come cazzo mi sono vestita?
- Giornalista 2: mi scusi ma non è stata lei che circa una settimana fa ha cercato di iniettare Botox nei piedi, giudicati troppo puzzolenti, di suo figlio adottivo? E non è a causa di questo che ha perso la custodia di Roan, 8 anni, a causa delle sue reazioni decisamente esagerate sulle questioni di carattere medico che riguardano il piccolo?
- Sharon: due settimane fa… due settimane fa… Mi lasci ricordare… mmmmmm. Ah si, ora ricordo: tutto è successo perché mio marito non si curava in maniera adeguata del figlio adottato.
- Giornalista 1: mi scusi ma non ci è chiaro cosa c’entri il botox con la cura dei piedi puzzolenti di suo figlio?
- Sharon: io davvero non posso crederci: come fate a non vedere il nesso? È così lampadina… ehm volevo dire lampante. Vedete, il botox, diminuendo le rughe del volto, contribuisce a stendere i tratti del viso quando qualcuno si avvicina ai calzini fetidi. Insomma le rughe sono un problema serio per un’attrice come io che ha fatto tanti film come Basic Instict e… e… e… insomma, si e tanti altri film.
- Giornalista 2: ci scusi, ma non era meglio fare come ha poi fatto suo marito Bronstein risolvendo molto facilmente il problema dei piedi del piccolo, senza far ricorso al Botox, facendogli mettere dei calzini e uno speciale deodorante per i piedi?
- Sharon: ma di che state parlando? Lei non sa chi sono io?! Lei non sa chi sono io?!... a proposito chi sono io? E comunque i piedi puzzolenti dipendono da un serissimo problema alla colonna vertebrale.


A queste parole, all’attrice è stata consegnata una targa: Migliore attrice cagna stolta dell’anno 2008. Motivazione: per aver così generosamente contribuito allo sviluppo di un nuovo farmaco per la demenza senile in persone perfettamente sane che non sanno recitare, che non sanno nulla di scienza e che non sanno nemmeno accavallare le gambe una seconda volta senza far vomitare tutto il pubblico presente.

Ps: l’attrice è stata ritrovata qualche giorno dopo, deambulante da un bar di periferia all’altro, in cerca di un lavoro che le consentisse un morboso amplesso masturbatorio con un rompighiaccio.

Quando si dice “deformazione” professionale. Mah!


Vostra Amanda.

venerdì 26 settembre 2008

UNA TROIA AL GIORNO... FANNO 365 TROIE ALL'ANNO

L’antropologia, a ragione considerata per anni la scienza dell’uomo, da oggi si arricchisce di un nuovo e sorprendente modello sociale di animale razionale intriso di dubbio cosmico: il cornuto matematico.

Oddio, non è che il concetto fosse estraneo agli antichi greci; già a quei tempi, in periodi di guerra perenne, i filosofi e i primi rudimentali esempi di studiosi della natura umana se ne andavano in giro parlando ad un imprecisato numero di apprendiste maestre di vita - in seguito denominate “peripatetiche”- e insegnando loro come compiere prodigiosi miracoli biologici. Ma fu solo qualche secolo dopo che qualcuno coniò l’ossimoro di vergine-madre, cercando di giustificare nascite premature di figli mai concepiti, le annichilenti assenze di mariti in guerra o di falegnami troppo zelanti, nonché le mutazioni estetiche di un’icona della pop music americana nota per il suo non-cantare all’Olimpico di Roma il 6 settembre scorso.

Ad ogni modo fu solo dopo un millennio, grazie ad opportune mutazioni genetiche psicosomatiche, che si assistette alla comparsa di tale raro esempio di virtù coniugale nel vasto panorama storico-sociale.
I primi a somatizzare il frutto di ergonomiche seghe mentali condite da atroci dubbi e una prole sempre più multiforme furono i barbari. Gli antropologi hanno scoperto che sussisteva una sorta di rito consolatorio dedicato a coloro che ritornavano vittoriosi dalle guerre: le mogli in stato di grazia – neanche fossero state sfiorate da mano (morta) divina - facevano dono ai loro sposi di poderosi elmetti ornati di priapesche ramificazioni tese ad evidenziare l’avvenuto miracolo. Una volta sterminate tutte le alci a disposizione, le vichinghe iniziarono a decimare i tori… quasi a sottolineare il passaggio concettuale da troie a vacche… ma questa è un’altra storia.

Sterminati anche i barbari (rallentati ed appesantiti dai regalini e da due palle piene ai confini della realtà), ci vollero più o meno altri mille anni perché si tornasse a parlare del fenomeno.

Inizialmente, si era infatti pensato ad una naturale estinzione del cornuto matematico - anche perché con tutte quelle indecenti e ricciolute parrucche incipriate, l’elmetto proprio appariva fuori luogo – ma poi all’ultimo simposio degli antropologi tenutosi in quel di Bergamo furono portate le prove lampanti del suo ritorno.

Alcuni esemplari della nuova ed evoluta specie furono avvistati in quella che storicamente vennero identificate come le rigogliose pianure della “Padania” (in foto un esemplare maturo). Qualcuno dice di averli visti bardati da un insolito fazzoletto verde al collo, altri giurano invece di aver visto il capo branco in preda ad emiparesi facciale.
Ora, benché si siano materializzati dal nulla alle feste per la lotta del federalismo fiscale, gli esemplari che interessano a noi sono stati fotografati in religiosa processione verso non ben precisati luoghi di raduno.
Gli scienziati di tutto il mondo sono rimasti sgomenti dinnanzi ad una simile notizia, e per questo motivo che da settembre 2008, un pool di cervelloni sta studiandone le caratteristiche morfo-psico-socio-evolutive, ma i risultati sono top secret e nulla trapela.

Che dirvi? Quando c’è di mezzo l’etica e il segreto professionale, bisogna solo pazientare e aspettare che il mondo della scienza si decida sul cosa e sul come divulgare le nuove scoperte. Anche io sono per il rispetto del codice deontologico e nessuna notizia vale un comportamento scorretto. Questo è quel che pensavo io… ma io ieri ho incontrato il dott. XXXXXX presso l’Astoria Palace alla camera 309.
Non dirò il suo nome per proteggere i suoi dodici figli avuti dopo aver scoperto di essere impotente, ma poiché ha accettato di rivelarmi in anteprima i risultati degli studi vi dirò solo il suo cognome: Kildare. Dr. Kildare!
Che uomo, che integrità morale! Pensate, non ha voluto nemmeno un euro… mi ha soltanto obbligata a soggiacere ai suoi piaceri masochistici. Stavo quasi per mandare tutto all’aria quando mi ricordai che il giorno prima avevo giustappunto comprato un paio di stivaletti in pelle nera con tacco 20 e la punta il cristallo di Boemia. Sapete, non sono un’ingorda, ma la voglia di provarli sulle guance smagrite di quello sfigato-occhialuto-minidotato- con un tatuaggio sul braccio con su scritto “my name is Charles”- era tale che mi resi disponibile ad elargire un generoso contributo personale alla rivista “Rubber, lattex e cockring per giovani marmotte” . E siccome nell’ambiente si vocifera che io sia una tirchia filo-scozzese-ebrea, ho dato il massimo, esibendomi in una performance di altissimo livello, dal titolo provvisorio: “Mamma ho perso la dignità”. Questo il programma per la serata:
· ore 21: estirpazione dei peli dal naso
· ore 21.10: rasatura completa delle sopracciglia
· Ore 21.30: coltivazione biologica di capperi nelle cavità auricolari (precedentemente concimate con sterco fumante di vacche sacre)
· Ore 22: pausa caffè.
· Ore 22.10: incaprettamento e farcitura anale con carota, aglio, rosmarino e olive taggiasche;
· Ore 22.30: visione coatta di tutti i film di Francesca Dellera fino al progressivo apprendimento di tutta la sceneggiatura originale
· Mezzanotte: evacuazione (previo orgasmico clistere) sull’ombelico (il suo)

Lo so, non ci sono parole per descrivere l’abominio a cui sono stata obbligata. Dio mio che squallore, che sudiciume etico, che spazzatura d’uomo!!!

C’è una cosa che non mi spiego: perché sono ancora tutta bagnata? Oltretutto fuori c’è un sole che spacca le pietre…

Ok ok, questo è il sunto dell’intervista:
Le prime rilevazioni hanno evidenziato un misterioso assembramento proprio al di fuori di uno strano edificio eletto, pare, a luogo privilegiato per la verifica dell’ammontare dell’incremento di tessuto osseo all’altezza dei lobi parietali del proprio cranio. Non ci sono elementi caratterizzanti questo luogo; l’unico flebile indizio è una strana scritta apposta a caratteri cubitali recante la seguente iscrizione: “Università di Verona. Istituto di medicina legale”.
La causa scatenante di questo fenomeno fisico-sociale si deve sicuramente all’incremento delle ore lavorative di alcuni mariti e, parallelamente, all’incremento della felicità delle rispettive mogli, ma soprattutto all’incremento del numero dei lattai e degli operai del “porta a porta” per numero di abitanti benestanti. E questo soprattutto perché è stato appurato che nelle zone depresse le donne vanno a lavorare, e comunque non hanno il tempo per procurare premeditatamente danni irreversibili alla lavatrice o al rubinetto del cesso. Oltre a ciò è stato riscontrato che gran parte degli imprenditori e dei professionisti della provincia di Verona hanno avvertito come un progressivo appesantimento cerebrale maldestramente confuso per un inspiegabile aumento di neuroni e/o del peso specifico dei capelli. I primi ad accorgersi della mutazione sono stati coloro che presentavano una calvizie in stato avanzato, una moglie sempre più allegra e la nascita prematura di un bambino molto abbronzato di nome Abdul.

Le ultime, aggiornate, rilevazioni dimostrano che il fenomeno è in costante crescita.
Gli studiosi sono giunti alle seguenti conclusioni:
1. il test del DNA per capire se il bambino nato abbronzato non è vostro funziona egregiamente;
2. il test costa solo 1.600 euro (poca roba se si considera il costo di un piccolo Michael Jackson in famiglia fino alla matura età);
3. il troppo lavora storpia… e storpia talmente tanto da far assomigliare i vostri figli ai vostri “migliori” amici;
4. il nuovo esemplare del cornuto matematico non fa una grinza. Dopo 8 mesi di astinenza non ci sono dubbi: sei matematicamente cornuto;
5. la medicina legale è una scienza esatta;
6. le donne sono sempre più troie;
7. si stima nei prossimi mesi un incremento delle cause di divorzio per infedeltà coniugale nella provincia di Verona

Le mie conclusioni sono di tutt’altro avviso:
1. il lattex mi svacca che è una meraviglia;
2. la saliva pulisce meglio del Calzonetto;
3. gli orgasmi multipli sono possibili
4. … e sono pure calata di due chili.

Vostra Amanda

sabato 13 settembre 2008

IL SAGGIO CINESE E LA PATATINA BOLLENTE



Immagino che un simile titolo vi abbia quantomeno indotto a chiedervi “ma cos’hanno in comune un saggio cinese e una patatina bollente?” Vi dirò, mi aspettavo una simile domanda, ma prima di rispondervi (perché una risposta c’è) vi pongo un’altra questione: “che differenza c’è tra un riccio e un preservativo?”

Nel frattempo che pensate alla soluzione del mio enigma, vi racconto di un famoso adagio cinese detto da uno che di cinese non sapeva nemmeno un involtino primavera. Non ricordo bene le parole, ma più o meno faceva così: mentre i cani pastori litigano il lupo si mangia le pecore.
La seconda questione che si pone è dunque: perché ce l’hai raccontato?

A questa domanda rispondo subito: perché sono giorni che mi sto letteralmente sbellicando dalle risate… grasse risate. Talmente grasse che non dormo più la notte. Rido e continuo a ridere perché davvero non posso farne a meno, ma soprattutto perché non posso far altro che ridere.

Vedete, cari amici, ci sono questioni che per loro natura impongono almeno una risata. In genere si tratta di questioni talmente arzigogolate (ma solo apparentemente) che improvvisamente diventano una sorta di casus belli sui cui tutta la popolazione viene invitata ad esprimersi… e di solito tutti lo fanno senza nemmeno chiedersi perché. Intendiamoci, esprimersi è un diritto di tutti, ma quello che mi chiedo è perché se ne stia parlando , ma soprattutto perché oggi? A questa domanda di solito non si ha una risposta precisa. Insomma, perché oggi e non ieri o domani? Già perché? Ve lo dico io: perché qualcuno ha deciso che era giunto il momento di parlarne… e perché era giunto il momento? Ecco, questo è un altro problema, ma procediamo con calma, e parliamo di “chi” e del “cosa” si sta parlando.

Da circa una settimana, o giù di lì, la nostra amica Carfagna (la chiamerò così perché ho un orzaiolo nell’occhio destro e proprio oggi ho smesso di sparare sulle ambulanze. Prima o poi certi vizi bisogna toglierseli…) ha ri-sollevato la questione della prostituzione e del disegno di legge che dovrebbe una volta per tutte “debellare questo male della società”. Ecco, detto in questi toni – ne converrete – la questione assume una coloritura moraleggiante degna solo delle grandi eroine di un tempo; del bene che lottava contro il male. E allora quale occasione migliore per rispolverare i nostri primordiali sentimenti umani… quei buoni e bravi sentimenti di una volta? Eh, già come se non avessimo atro da fare nella vita?!

Improvvisamente infatti l’attenzione della pubblica opinione viene letteralmente catalizzata da quest’argomento che, a dire il vero, di “nuovo” non ha assolutamente nulla. Anzi per essere precisi, è questo un tema che ha interessato la donna e l’uomo da che quella gran troia di Eva ha fatto quel gran casino ingurgitando alle spalle di quel coglionazzo di Adamo una fottuta mela. La questione vedete sta tutta li… e come al solito è il “prezzo” della frutta ( e dei beni di prima necessità) che pone problemi alle famiglie italiane. Da secoli e secoli.

Anyway, sono quasi sette giorni che dappertutto impazzano programmi radiofonici, programmi televisivi e articoli di giornali che discutono animosamente sulla questione. In questo stesso frangente io invece mi sono occupata di altre cose: mi sono divertita a crepapelle a guardare coloro che guardavano e discutevano sulla questione. ..esattamente con lo stesso ghigno spocchioso con cui si osservano due donnette di strada che se le danno di santa ragione per accaparrarsi un pulloverino misto-lana al mercatino rionale infrasettimanale. L’atteggiamento, il mio, non è infatti quello di chi vuole far cessare la bagarre quanto di stare a vedere come va a finire.

Perdonate il mio cinismo, ma io questa proprio non me la voglio perdere. A volte, si sa, per capire realmente le cose bisogna opporre un doveroso distacco… bisogna cioè estraniarsi e stare lontano a guardare. Senza muovere un dito.

In questi divertentissimi sette giorni, ho sentito tante di quelle minchiate che se avessi potuto raccoglierle e venderle sotto banco oggi sarei la donna più ricca della terra. A dire il vero più che minchiate era un trionfo di luoghi comuni, di perbenismo, di moralismo, di finto senso pratico e dio sa di cos’altro.

A scuole di buone maniere e di civiltà ci hanno insegnato una cosa che si chiama “problem solving”: una specie di arte povera inventata da Re Salomone che ahimé, nonostante i buoni sforzi culturali e il passa-parola, si è quasi del tutto persa nei meandri di chissà quale scatola cranica.

I cultori del problem solving asseriscono però che prima di risolvere un problema bisogna “definirlo”, ossia bisogna capire esattamente il nodo problematico di una questione. Ritorniamo temporaneamente alla questione della prostituzione.
Tra le tante minchiate definitorie sparse nell’etere (e correlate soluzioni del cazzo) queste sono quelle che più mi hanno fatto ridere:
1. La prostituzione è un problema di ordine pubblico, legato all’immigrazione clandestina e al degrado delle nostre strade. Soluzione 1: estradare le clandestine al loro paesello, ripulire le aiuole dei viali, mettere qualche fiorellino qui e là per rallegrare la vista dei passanti.
2. La prostituzione è un problema morale. Dice la Carfagna: io come donne inorridisco davanti a questo problema… ovvero inorridisce davanti al fatto di vedere per le strade delle donne vestite come veline che la danno a destra e a manca per farsi le vacanze alle Maldive. Il punto è che certe cose non si debbano più “vedere”… il che non corrisponde al fatto che certe cose non debbano più “esistere”. Notate la sottigliezza. Soluzione 2: relegare le puttane in un appartamento e mettere un distributore di ticket per la fila o un call center per la prenotazione della “seduta”.
3. La prostituzione è un problema educativo: i nostri bambini vedono modelli di comportamento sbagliati. “mamma mamma” disse il bambino incuriosito “perché quella signora se ne sta ferma attaccata al palo vestita in quel modo?” E la mamma imbarazzata per l’assenza di spiegazioni logiche rispose “che vuoi che ti dica? Deve essere una velina che sta aspettando l’autobus per andare a lavorare”. Soluzione 3: dare un tailleur a tutte le puttane, una 24 ore, un quotidiano sottobraccio e il gioco è fatto… così non vi sarà nessuna differenza tra una puttana e un’altra puttana che dà il culo per 1000 euro dopo una laurea.
4. La prostituzione è un problema condominiale: le prostitute in casa abbassano il prezzo degli immobili in cui lavorano. Soluzione 4: creare dei condomini lontano dei centri abitati, lontano da occhi indiscreti, dalle strade di maggiore comunicazione, etc. Si vocifera di una colonia su Marte.
5. Lo sfruttamento della prostituzione è una forma di schiavitù legata alla tratta delle donne. Soluzione 5: prendere indice e pollice e aprire, uno per uno, gli occhi degli italiani… forse così cominceranno a vedere che gran parte di loro si diverte un mondo a fare la sarta. Carletto che mestiere fa la tua mamma? – chiese la maestrina il primo giorno di scuola “sarta!” esclamo il frugoletto panciuto. “Oh che bello… ago, filo e stoffe?” “no!”- rispose perentorio il bimbetto – “sarta da un cazzo all’artro”;
6. La prostituzione genera ingiustizia sociale. L e puttane devono pagare le tasse come tutti! Da qui la conseguenza che la prostituzione venga riletta come una professione come le altre. Soluzione 6, la più interessante: lo stato regolarizza le prostitute, ne fa una professione e ne tassa i redditi. Detto in altre parole, prende dal ricavo delle puttane un aliquota del 45%... il che non fa differenza con quello che avviene attualmente ad opera dei cosiddetti “pappa”. In altre poche parole, lo stato si sostituisce a pieno regime allo sfruttatore… e per le puttane sarà sempre la solita storia: c’è sempre qualcuno che mangia a sbafo.

E mi fermo qui perché davvero la casistica è ampia quanto il gran Canyon, ma soprattutto perché la fantasia degli italiani , il perbenismo, l’ipocrisia, il catto-moralismo imperante nella nostra testa fa più vittime degli incidenti stradali nel periodo estivo.
…e intanto molti continuano a parlarne e bla bla bla bla…

Quel che in realtà sta succedendo è un’altra cosa: nel frattempo che queste seghe mentali producono orgasmi inenarrabili succede che il governo si fa letteralmente i cazzi suoi. Non parlo di questo governo… perché per quanto mi riguarda, non appena qualcuno sale al potere il sangue gli va alla testa e comincia a sragionare e a pensare a se stesso.

La politica, vedete, è una specie di gioco di prestigio: perché il trucco funzioni è necessario che il prestigiatore crei un diversivo plausibile che distragga l’occhio balengo del pubblico. Tutta questa storia è infatti un diversivo plausibile, abilmente prodotto per distogliere l’attenzione del pubblico. Attenzione su cosa? Sul la mancanza di idee politiche serie, ma anche sull’invisibile incedere di leggi che di punto in bianco determineranno la nostra vita, mentre noi staremo ancora parlando di puttanate.

Per quanto riguarda la mancanza di idee, beh, la prima cosa che mi viene in mente riguarda una pura e semplice questione di legittimità: ma da quando un ministro delle pari opportunità si occupa di prostituzione? Qual è il collegamento tra le politiche di parità con questa questione? Quale azione paritetica si vuol promuovere contrastando la prostituzione? Vedete io nelle pari opportunità ci lavoro da oltre 10 anni, quando ancora la Carfagna se ne andava in giro sgambettando a “Non è la RAI” e vi giuro che il collegamento proprio non c’è… con tutti i problemi reali di pari opportunità che vi sono. E non mi riferisco solo alla diatriba tra donne e uomini, in cui di solito gli uomini sono sempre dipinti come il sesso forte “da raggiungere”. Un’attenta lettrice del mio blog, aveva scritto un mese fa (con orgoglio e un chilo di cecità) “la Carfagna sta facendo la legge per combattere lo Stalking. Bello, fantastico!!! E da quando il ministero delle pari opportunità legifera? Ma non dovrebbe forse occupare di provvedimenti tesi a riequilibrare culturalmente la visibilità sociale delle donne e quella degli uomini, e di tutte le altre sotto-fasce deboli?

Sembra infatti che la legge delle Carfagna non abbia alcun merito circa il contrasto del fenomeno sociale della prostituzione , ma che tenda invece a sanzionare con multe i comportamenti dei cittadini. Un dubbio allora mi sfiora: non è che l’intento sia quello di creare una nuova tassa comunale sostitutiva all’ICI? D’altronde se un problema lo sia affronta così, più che un problema sociale sembra un problema di casse dello stato vuote, senza contare che il disegno di legge proposto fa acqua da tutte le parti.

Ma il punto rimane lo stesso: stanno tentando di distrarci con futili questioni. Stanno creando un sorta di fiction globale fatta di buoni sentimenti, di moralismo, di falsa giustizia e tutto quanto può farci immediatamente piacere e che ci restituisca la sensazione che le cose vanno nella maniera giusta.

La giustizia, vedete, è un po’ come un oggetto di lusso; solo chi ha i soldi può permettersela e può manovrarla. A tutti gli altri tocca subirla e pagarla.

Ditemi pure se non è così, ma ditemi anche che giustizia è quella che elimina i mezzi per provare le accuse relative ai crimini di chi detiene potere? Vi lascio con questa questione.

Questa discussione sulle puttane è “come rissa tra cani pastori; intanto lupo mangia tutte pecorelle”

Ah, per quanto riguarda l’enigma di partenza, se non sapete la differenza che intercorre tra un preservativo e un riccio, provate a mettere il secondo al posto del primo e vedrete che ve ne accorgerete immediatamente.

Saluti e baci

sabato 6 settembre 2008

5 IN ORTOGRAFIA, CARA GELMINI!!!



Amanda Nash. Presente!
È questo il mio primo ricordo della scuola. Ah, quanta nostalgia! Quanta nostalgia il grembiulino rosa con il fiocco bianco, i panierino con la merendina che mamma mi donava generosamente sull’uscio di casa, le alzate di mano per chiedere la parola, quella grande lavagna nera ruotante e il banchetto sul quale appoggiavo i miei quaderni con le righe grosse. Sembra ieri che iniziavo a scrivere a caratteri cubitali una sfilza di aeiou tutte con la codine, i puntini, etc… giorno dopo giorno. Tutto un anno speso a fare codine alle “a” e puntini sulle “i” … per non parlare di quegli orrendi incubi a cielo aperto rappresentate dalle consonanti… ah quante minchiate!!! Fine del romanticismo. Ma questa era la scuola di trent’anni fa.

Oggi invece le cose sono “diverse”: si va a scuola con il grembiulino rosa e il fiocco, il panierino è diventato uno zaino da scalatore dell’Everest , ci sono dei bei numeri sulle pagelle e se non si riga dritto c’è un bel 5 in condotta. Una gran bella differenza. Non c’è che dire!!!

Vi dirò, però, la cosa mi piace. Vi ho sorpreso nevvero? Eh beh, che volete farci io sono un patita del vintage… delle buone cose di una volta. Quest’anno infatti la scuola si veste in pieno stile anni 30 e ricomincia daccapo. Perché forse qualcosa del passato è valida anche oggi, ma soprattutto perché il progresso non una “qualità” applicabile a tutti i campi. È questo è sicuramente il caso dell’arte della cucina e della scuola.

Questa svolta “epocale” si deve al genio compreso (occhiali alla catwoman e tacco 15, tutto compreso!) di Mariastella Gelmini, il nostro “ministro” dell’istruzione. Insomma non c’è niente di meglio - in vista di un nullo assoluto - che riproporre qualcosa che in passato ha funzionato. Ok, grazie e arrivederci!!!

Tralasciamo un attimo questi dettagli pedagogici, perché fortunatamente i ragazzini sono più veloci e svegli di noi… ma anche più confusi, più obesi, più manovrabili. Ogni bambino di ogni epoca ha dovuto subire un sistema di cose che non si è scelto, e quindi tutti in riga e non rompete le palle!!!

La questione, la vera questione, è un’altra.

Il nuovo diktat è “si torni al maestro unico”. Su questo proprio i sindacati non c’hanno visto più dall’incazzatura, preconizzando un numero indefinito di insegnanti a spasso. Anche su questo, vi dirò, la cosa non mi frega più di tanto; voglio dire, il gioco delle poltrone in cattedra non mi interessa, perché invero non si lotta per la qualità dell’apprendimento quanto per parare il culo a qualche insegnante di troppo.

Adesso, provate a farci caso, la Gelmini parla di mastro unico ed io continuo a parlare di insegnanti… Una qualsiasi persona potrebbe banalmente asserire “embé, i termini sono sinonimi!”. Ed io potrei tranquillamente rispondere “Cara , tesoruccio caro, si vede che al tempo della distribuzione del cervello tu eri assente” e questo soprattutto perché “insegnante” e “maestro” non sono affatto sinonimi. Volete la prova? Bene, allora rispondete a queste semplici domande: “quanti insegnanti ci sono nella scuola italiana?”

Adesso rispondente a quest’altra domanda “quanti maestri ci sono nella scuola italiana?”

Se il cervello – come spero – si è attivato nella giusta maniera vi accorgerete che forse i conti non tornano. Manco pe’ niente. E questo era esattamente quello a cui stavo pensando io.

La Gelmini – asinaccia- come non poche in tutto questo suo slancio mistico verso il passato ha dimenticato di fare i compiti a casa. Io li ho fatti e questa è il mio temino dal titolo altamente criptico: Il maestro non esiste! Sottotitolo: Storia romantica di un’educazione maldestramente abbandonata ad un gruppo di mamme con la penna rossa.

Le donne italiane sono magnifiche e attente osservatrici del tutto opinabile circa gli uomini. Una delle classiche affermazioni – da manuale – è: gli uomini italiani sono tutti mammoni, non hanno le palle… e quell’uccello che hanno in mezzo alle gambe serve loro solo per pisciare. Da questo campione va naturalmente escluso Rocco Siffredi e tutti i portatori sani di problemi all’uretra. Il primo perché grazie al cielo esiste e si sente (soprattutto se ce l’hai tra le gambe) i secondi perché forse ancora risentono dei bombardamenti dell’ultima guerra mondiale.

Ma torniamo a bomba, e concentriamoci sul temino: le donne si lagnano come cagne in calore prese a calci nel ventre per questa caratteristica degli uomini di oggi, ma in questo corale latrato dimenticano che non solo non sentono un cazzo (a proposito il numero delle lesbiche è in crescita), ma anche che non capiscono un cazzo. E mi riferisco al fatto che se il cervello uterino potesse una volta tanto azionarsi per qualcosa che non sia una borsetta griffata o per un’iniezione di botulino, forse potrebbe comprendere che la causa di tutto questo risiede proprio in loro.

La storia, si sa, non è mai stata la materia preferita dalle ragazze (preferiscono la contabilità del portafogli del marito), ma forse una piccola riflessione può spalancare una grande porta. Ok care mamme, ditemi da 50 anni i figli dove e con chi trascorrono i primi 15 anni della loro vita. Non lo sapete? Era chiaro, infatti sono i dettagli che continuamente vi sfuggono: i primi 15 i vostri pargoli maschi li hanno trascorsi così:
- 0-3 anni. Con la mamma, la zia, la nonna, la vicina.
- 4-6 anni. Con la mamma, la zia, la nonna, la vicina, la babysitter e la maestra dell’asilo
- 6-10 anni. Con la mamma, la zia, la nonna, la babysitter e le maestre delle scuole elementari.
- Dai 11 ai 13 anni. Con la mamma, la zia, la nonna, la babysitter e la professoresse delle scuole medie inferiori.

È solo dai 14 anni in sù che finalmente il pargolo comincia, in assenza del padre, a interloquire con i professori (maschi) della scuola superiore.

Ok fermiamoci a questi pochi dati e tiriamo le somme, tenendo presente che la personalità del bambino si forma nei primi anni di vita e che la costruzione dell’identità si costruisce in relazione ai modelli di comportamento che lo stesso vede e assimila nello stesso lasso di tempo. lo so, la “cosa” comincia a lievitare come il panettone di natale. Aggiungiamo anche che gli unici contatti con altri maschi avviene nelle relazioni “orizzontali” (tra bambini della stessa età e fratelli o cugini).

Ok adesso fate voi la somma o la moltiplicazione dei fattori, perché tanto il risultato sarò lo stesso: un caloroso ringraziamento al Dio dei cieli perché vostro figlio, strano a dirsi, non è diventato gay… ma sicuramente misogino. Si quello sicuramente, perché a 15 anni – dopo 15 anni di onnipresenza femminile – delle donne ne avrà le palle piene… e come dargli torto? Ma il peggio “ a da venire” perché di certo se non gay, vostro figlio nono solo vi odia a morte (per tutto il “male” materno subito) ma anche e soprattutto perché è diventato irrimediabilmente diventato dipendente da voi. Da voi mamme ovviamente. Detto in altre parole è diventato il classico, pigro, mammone avente come unico obiettivo di vita quello di incontrare una donna che riesca – con qualche ruga in meno e una vagina fresca – a prendere il posto della madre.

Perdonate la digressione, ma era utile al discorso. Ve lo giuro. Ve lo giuro sulla vita di mio nipote.

Ritorniamo alla nostra cara vecchia Gelmini. Tesoro, cara, non è forse che proprio ti sei dimenticata di pensare al vero problema educativo della scuola italiana? In Italia il 100 % del sistema educativo è in mano alle donne e di questo non mi fregherebbe un cazzo se non ci fossero di mezzo tanti potenziali uomini da allevare come tali nelle “stupide e ignoranti” mani dei modelli di riferimento sbagliati. Insomma, questi maestri do’ cazzo stanno?

Scusate l’alterco volevo solamente sollevare una semplice questione: dove minchia stanno sti maestri? La Gelmini parla di “maestro unico” e allora le questione sono due:
- Forse il ministro voleva dire “maestra unica”, ma con l’ortografia siamo messe male;
- Oppure che c’è stato un errore di sintassi, per cui la Gelmini faceva riferimento “all’unico maestro” (a quell’unico mastro bistrattato dalle colleghe in sovrannumero e che non ha nemmeno diritto di parola?) e non al “maestro unico”.
Il punto è che come al solito - tanto siamo imbevute di auto-adorazione - non siamo in grado di vedere i problemi della scuola: nella scuola italiana ci sono solo donne e questi cazzoni di mammoni sono opera nostra.

E allora care colleghe pedagogiste (forse qualcuna mi legge) anziché stare li a fare le modelle di riferimento e di fare i disegni più carini sui libri, sarà il caso che vi diate una mossa, che leggiate un po’ di psicologia dell’età evolutiva e che ristabiliate la “giustizia educativa”.

Alla Gelmini, faccio i complimenti per aver sollevato (inconsapevolmente) la questione.

Alla Carfagna, al tesoruccio caro del cavaliere nano coi tacchi, chiedo: ma non sarebbe il caso – in termini di pari opportunità - di attivarsi per le quote azzurre nel sistema educativo? E per dinci, lascia perdere le leggi sulla prostituzione !!!

Che poi, voglio dire, non che dopo il Berlusca anche tu vuoi che sia fatta una legge ad personam?

Oggi mi sono proprio rotta le ovaie!!!
Saluti a tutti!!!

mercoledì 27 agosto 2008

NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI


Ci sono questioni controverse che spesso ci attraggono proprio per la loro opinabilità. Si tratta in vero di questioni intricate ai limiti dello spazio profondo che viste abilmente da due prospettive diverse producono parimenti elementi di verità inoppugnabili.
Il nostro amico e conterraneo Pirandello aveva ben sintetizzato questo concetto nel suo celeberrimo “Così è (se vi pare)” , insinuando che non tutto è come appare… e tutto quel che appare dipende.

Arriviamo al punto G del post, analizzando l’evento clou della Settimana della porchetta di Ariccia (Roma). Cosa avrà a che fare Ariccia con l’argomento di oggi è tutto un mistero, ma sicuramente la porchetta c’entra… e come!
La porchetta in questione non è una porchetta comune; è una di quelle intellettuali che saltuariamente preferiscono definirsi soltanto “una di quelle”. Dall’altra parte c’è il maialone.
La prima è una dottoressa, laureata in vattelappesca cosa; il secondo è il suo ex professore, meglio noto come il suo ex. Vediamoci chiaro.
Questa è la vicenda, sinteticamente:
Torino, agosto 2008. La dottoressa Caputo si presenta agli esami per accedere alla specializzazione in Medicina Legale. Il concorso si svolge apparentemente in maniera corretta, poiché la stessa, vistasi trombata al concorso decide di ricorrere al TAR per far valere le proprie ragioni, ma soprattutto per denunciare vizi procedurali e amministrativi… nonché i presunti vizi del maialone direttore dell’omonimo istituto presso l’università di Torino.
Lasciando stare quel che diranno gli avvocati , cerchiamo di capirci qualcosa facendo soprattutto luce sulle parole dette ufficialmente da entrambe le parti.
Lei dice di essere stata bocciata poiché “non più in grado di compiacerlo sessualmente a causa del (suo) stato di gravidanza”. Lui nega tutto.
A parte le costumate riflessioni sull’accaduto che tutto dicono dell’ipocrisia imperante in ambito accademico… perché i giochi si fanno da sempre così e nessuno ha avuto mai da ridire perché è sempre convenuto ad entrambe le parti, quel che viene da chiedersi è: cosa ne sarebbe stato del concorso se la Caputo avesse ottenuto il posto?
Forse la dott.ssa se ne sarebbe andata in giro spargendo nell’etere minchiate del tipo “sono stata scelta perché sono la più brava”, senza contare che qualcuna, sentitasi defraudata del posto avrebbe potuto obiettare “ma brava a fare cosa?” Lo so, la domanda è retorica.

È singolare infatti che qualcuna ricorra al TAR non per vizi procedurali o “per ingiustizia” quanto perché una volta tanto il concorso si è svolto correttamente. La stessa Caputo afferma, di essere stata fatta fuori “per aver smesso di compiacerlo” che è cosa diversa dall’affermare, di essere stata trombata “per essersi rifiutata di compiacere il prof”.
Nel primo caso, infatti, è chiaro che forse (anzi sicuramente) era anche e soprattutto interesse suo compiacere il professore al fine di ottenere la promozione; si ravvisa cioè una forma di logica “do ut des”. Senza contare che sicuramente sarà stata lei a fargliela annusare, finalizzando ogni sua azione al raggiungimento del risultato finale.
Nel secondo caso invece il rapporto sarebbe stato assolutamente a sfavore del prof, il quale forte di una posizione di dominanza ne avrebbe approfittato per piegare la volontà della studentessa.
L’aspetto paradossale è che la stessa abbia poi affermato “ho subito un’ingiustizia, sono vittima di un gioco di potere”. Ma di quale ingiustizia si parla esattamente? Io questo lo vorrei proprio sapere, visto che la vera ingiustizia si sarebbe compiuta solo se fosse stata promossa lei al posto di una più meritevole.
Certamente il prof. Tappero, come tanti uomini, è un emerito coglionazzo… perché cadere così maldestramente tra le gambe di una donna rivela soltanto una carenza di neuroni. Oltretutto, con tutti i soldi che guadagna perché non pagarsi allegramente un professionista del pompino, anziché scomodare una cretinetti con ambizioni professionali da obitorio? E che dire del marito di lei, felicemente cornuto e complice della moglie? A lui va sicuramente il premio nobel honoris cause per il rincoglionimento da figa e una pallottola in fronte.
Per quanto riguarda il finale della storia, beh adesso la questione farà avanti e indietro per i tribunali per almeno dieci anni regalando al pubblico presente la classica perfomance della solita, stanca vittima della situazione: la povera sgualdrinella tutta libri e ardore scientifico, coinvolta suo malgrado in un torbido inganno ad opera dell’ennesimo maschio sbrodoloso.

… e tutte le femministe del cazzo grideranno allo scandalo. Che pizza!!!
Per quanto mi riguarda, la questione ha una sola soluzione: la notte prima degli esami è meglio stare leggere...
Amanda

sabato 16 agosto 2008

... E ALLA FINE GLIEL'HA DATA




Gli esperti in geriatria sono soliti affermare che la menopausa segna il passaggio della donna dall’età feconda a quella sterile. Il tutto avviene, si sa, accompagnato da tutta una serie di effetti “collaterali”: caldane, sbalzi d’umore, prime avvisaglie di rincoglionimento e, dulcis in fundo, aumento del desiderio sessuale arricchito dal diktat di doverla dare a chiunque ce la chieda finché si è ancora in tempo, o di donarla generosamente a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta nei tempo passati. Insomma, la menopausa ha effetti retroattivi… un po’ quelle leggi ad personam tanto care ad una certa classe politica.


Non sono solita fare nomi, ma stavolta farò anche i cognomi: Santanché. Daniela Santanché(ritratta in foto durante la campagna elettorale ndr).
La più liftata delle donne di destra dopo la Mussolini (le cui labbra sono state sottratte al museo della scienza navale e riciclate per il salvataggio di 2000 extracomunitari a largo delle coste di Lampedusa) ha reso noto in questi giorni che, dopo averci rotto i coglioni con quegli estenuanti tira-e-molla col Cavaliere nano, ha deciso di capitolare e di concedergli “finalmente” l’accesso all’arida zolla. (vedi Libero del 7 agosto e l’Espresso del 21 agosto)


Il primo ad essere stupito di questo dietrofront è stato lo stesso mr B, il quale, in preda all’ennesimo indizio di sopravvenuto morbo di Alzheimer, ha ovviamente negato di averne fatto richiesta. Insomma perché ambire alla virtù di una vecchia e attempata gallina, quando si possono ottenere senza fatiche quelle di promettenti veline a forma di ministre delle pari-opportunità?



Vi dirò, il dubbio mi aveva sfiorato, anche perché con tutti i ritocchi che puoi fare, ci sono cose che non si possono fingere… come ad esempio la pazzia, le rughe nelle mani, e la disposizione del proprio corpo nello spazio. Ed è proprio in riferimento a quest’ultimo baluardo dell’integrità della Santanché che si concentra lo stupore della rimanente popolazione italiana dotata di almeno due neuroni. Vi ricordate infatti lo scassamento di minchia con cui la Danielona dal photoshop fraudolento continuava ad ammorbare l’atmosfera pre-elettorale? No? Male, molto male, e soprattutto strano, molto strano; anche perché non capita spesso vedere un’orda di galline che bisticciano per decidere se le donne di destra preferiscano le posizioni “orizzontali” a quelle “verticali”… che poi, voglio dire, perché non includere alternative più convincenti? Che so, a novanta gradi o quella del missionario?!


Al termine di questa bagarre, in cui la Santanché sentenziò di essere l’unica "alfieressa" della politica italiana capace di dire “no” a destra e a manca, una parte di quei pochi esseri pensanti che l’aveva votata aveva apprezzato la sua integrità, il suo non arretrare davanti a situazioni di comodo, il suo ostinato ma garbato standing professionale, la sua femminilità immune ad ogni piaggeria.


Concluse le elezioni, qualcosa però qualcosa iniziò a cambiare: la sua visibilità politica e sociale – a parte quel picco dovuto alla boutade sulle prostitute - cominciò (giustamente) ad appannarsi… e lei come ogni donna-donna-donna-priva-di-fantasia resasi conto che la sua patonza non era più ambito oggetto di desiderio (qualora lo fosse mai stata) iniziò a fare quello che qualsiasi altra donna-donna-donna-alla-canna-del-gas-con-le-ragnatele avrebbe “normalmente” fatto in questi casi: darla.


Oddio, se ella non si fosse ostinata a pubblicizzare questo ipotetico quanto surreale modello di donna, forse oggi sarebbe a fare buona compagnia alla Carfagna e tutto sarebbe risultato “coerente” col modus essendi delle donne che si illudono di fare carriera.
Ad ogni modo, oggi a pochi mesi dalla fine dei giochi politici, la Santanché – con un dietrofront che non ha nulla di strategico – non solo tenta un riavvicinamento all’uomo che non gliel’aveva mai chiesta, ma lo fa anche nel peggiore dei modi: rimangiandosi in un sol boccone tutte quelle palate di merda che si era divertita a lanciare contro i suoi detrattori, e prostituendosi come meglio le riesce.



E così improvvisamente si odono parole del tipo: “è meglio tornare col Cavaliere” o “la politica si fa così” (mentendo e ingannando coloro che hanno creduto in lei. Per fortuna pochi).


Il punto allora è uno solo: Daniela non desiderava “la” poltrona, ma “una” poltrona… una qualsiasi. E per questo ci ha preso in giro, lasciandoci intendere che forse il suo fosse davvero un modo diverso di vedere le cose e i destini delle donne. Ci ha davvero illuso: lei non è una donna verticale, anzi è la più orizzontali di tutte le altre. E non potrebbe avere le palle nemmeno se se le ricamasse sullo slippino contenitivo.



La Santanché è una donna come la gran parte di noi (o di voi): le piace fare la gran donna, la gran troia (politicamente parlando), le piace tradire, illudere, farsi corteggiare. Ed è così soprattutto perché non possiede uno straccio di idea valida, non una vera idea politica…ma sa, o può, solo tristemente ribadire al mondo attorno a sé una sola e unica verità: che le donne non sono nulla senza l’aiuto e il potere di un uomo.


Per quanto mi riguarda invece è solo patetica… e decisamente più in basso delle altre che ambiscono a risollevare le sorti delle pari opportunità delle donne.


No, care amiche, non illudetevi : non c’è da risollevare nulla… solo sdraiarsi, divaricare le gambe, riempirsi la bocca di un pasto caldo e ringraziare gli “inter-venuti”.

Amanda