domenica 30 novembre 2008

25 NOVEMBRE: GIORNATA PER LA LOTTA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE. IMMANE CAZZATA!!!


Notizia flash: dopo quella madornale minchiata denominata “8 marzo” – noi donne possiamo da oggi congratularci a vicenda per aver strappato un altro giorno al calendario di quegli zotici col pisello tra le gambe detti anche uomini. Ma l’obiettivo è lontano e la sproporzione è ancora troppo schiacciante: restano peraltro altri 363 giorni di differenza tra noi e loro.

Eh già, è proprio così, il 25 novembre è stato scelta per celebrare la lotta contro la violenza sulle donne. La notizia – vi dirò – mi ha lasciato perplessa anche perché stavo cercando di capire se nel medesimo dannato calendario esistesse un equivalente giorno in cui si celebra la lotta contro la violenza sugli uomini. Ho controllato, e tale data non esiste. Cazzo, proprio non esiste… e questo non va.

Siamo sempre state certe della violenza da parte degli uomini, ma chissà come mai questa stessa consapevolezza non ci investe in quanto portatrici di un’eguale o forse anche più efferata violenza… quella sugli uomini. Sarà forse perché in noi c’è sempre stata quella naturale predisposizione innata a sentirci vittime del tutto; del maschio, della cellulite, del doppio lavoro, delle responsabilità, delle fregature affettive, della depressione. Sarà… ma io credo che tale giorno non esiste per due eminenti motivi: il primo ha a che fare con il fatto che gli uomini non se ne vanno in giro a lamentarsi… come femminucce. Il secondo riguarda invece la peculiarità della violenza femminile.

La psicologia chiarisce infatti che gli uomini sono di certo più diretti nell’espressione dell’aggressività: ti mollano un sano ceffone, ti scompigliano il make-up falso-battona, ma poi tutto sommato ritornano nei ranghi. Il punto a loro sfavore è ovviamente la visibilità del loro “torto”. Quell’occhio nero non è infatti sfuggito allo sguardo strabico di una qualsiasi cretina di vattelapesca centro sociale a protezione delle donne indifese, le quali, con interviste e oculate perizie, si limitano a costatare gli effetti piuttosto che indagare le cause. Risultato dell’intera operazione? Un oscar alla carriera per la miglior interpretazione in assoluto dopo quella di Francesca Dellera ne “La Bugiarda”.

Noi ragazze, per converso, non solo siamo sempre solite parlare del mostro che è fuori di noi senza nemmeno avere il minimo sindacale di autocritica tale da consentirci sgamare “l’assassina che c’è in noi”, ma neanche la capacità critica di capire il perché di quell’occhio stile panda-in-estinzione. No, nulla di tutto questo. La ragione – come le rimanenti virtù teologali stampate nel nostro DNA di default – è sempre e soltanto una nostra opzione… e noi di certo non ci lasceremmo sfuggire l’occasione di rivendicarla in ogni situazione. È un po’ come quando i neri assumono sempre e a torto di essere sempre e comunque loro le vittime delle discriminazioni, anche quando le cose vanno diversamente. E siccome la nostra creatività non ha limiti, anche quando siamo noi dalla parte del torto, invochiamo la legittima difesa.

Il punto è , cari amici e pessime amiche, che nella realtà delle cose la nostra aggressività si caratterizza per la silenziosità delle sue armi e per l’agire indiretto. Si, è vero, non è una violenza che genera effetti visibili, ma è pur sempre una violenza… e di certo i suoi effetti hanno una “durata” ben più lunga di un ematoma. E noi questo lo sappiamo. Sappiamo ad esempio – e questo lo sperimentiamo quotidianamente con le nostre pari-stronze amiche e colleghe - che ciò che ferisce non è certo un gesto diretto, chiaro e lampante, quanto un mezzuccio, un dispetto, un’angheria, una parola sbagliata al momento giusto. Non serve altro.

E allora forse, se vista sotto questa prospettiva, la questione assume un rilevanza del tutto diversa e inaspettata: la violenza di cui siamo capaci è l’unica cosa da cui occorre davvero difendersi. Il carico di odio e di astio che sappiamo portare dentro è spesso la causa principale che alimenta e che esaspera le tensioni. Il fatto che non siamo capaci di sferrare un pugno non significa nulla, anzi significa solo che i mezzi che useremo sanno perfino più taglienti e distruttivi di un qualsiasi delle armi utilizzate in uno scontro frontale.

E dunque torniamo a questa storia del 25 novembre, e a tutte le altre cazzate di cui la nostra cara ministra Carfagna si fa paladina. Oh, a proposito, se di certo potremo difenderci dallo stalking – anche ammettendo che siamo solo noi donne a subirlo (tutto da verificare) – cosa potrà difenderci dalle male lingue, da quei micro-comportamenti che proprio danno sui nervi, dalle insinuazioni fatte col sorriso largo, dagli atteggiamenti che ledono l’orgoglio e la dignità personale, dalle mise da mignotta che sappiamo esibire… e da tutti i rimanenti orrori a portata si silenzio che sappiamo all’occorrenza generare con incurante o falsa ingenuità?

La risposta è una sola: nulla e nessuno.

E allora smettiamola di creare falsi miti: quello della vittima tutta al femminile è qualcosa a cui credono (forse) solo gli uomini.

È giunto il momento di evolversi care amiche; miagolare e lamentarsi poteva forse ingannare qualcuno, ma io penso che proprio dovremmo smetterla. Io proprio non ce la faccio più!!! E voi?

sabato 8 novembre 2008

SARAH QUEL CHE SARAH... UN FALLIMENTO GLOBALE


Il 2008 non è un anno che sarà facilmente dimenticato. Mai, infatti, avevamo assistito ad una serie perfetta di fallimenti clamorosi. E se è vero che s’impara più dalle sconfitte che dalle vittorie, allora possiamo dirci prossime ad essere le più erudite creature di tutto l’universo. Buco nero incluso… con buona pace di Naomi Campbell.

La prima della fortuna serie dal titolo “come mi suicido pubblicamente” è stata Miss-perfezione Ségolene Royal: abitino da professoressa, moglie perfetta, vocabolario aulico perfettissimo… tutto perfetto. L’unica imperfezione era quel monolite di venti metri su cui amava ergersi in pieno stile Bernardette. Gli uomini la votarono, sperando di poter fare a lei quello che la Lewinsky fece a Bill Clinton, ma le donne francesi la boicottarono; va bene farsi mettere i piedi sopra da un uomo (ci siamo abituate, no?!), ma un paio di tacchi a spillo… no quelli proprio non avrebbero potuto sopportarli. Che dire? Ségò ha capito in pieno la lezione, altrimenti non si spiegherebbe il nuovo look da samaritana scalza finto-Joan-Baez-in-pieno-Woodstock. Mia sorella – quella con l’Alzheimer – si veste alla stessa maniera e, da che ha smesso anche lei di rompere le scatole in giro, ha ritrovato se stessa. E non è la sola: un anno fa una pattuglia anti-vagabondaggio l’ha riportata a casa dopo un lungo e confuso pellegrinare alla fiera del bianco. Due settimane dopo il tragico evento fu eletta sindaco nel comune di Petralia Sottana.

La seconda in ordine cronologico è stata invece “miss-cieca-di-Sorrento-made-in-USA”, al secolo Hillary Clinton. Nella sua lunga vita ha infatti finto di non aver visto nulla, e men che meno quel bavoso di suo marito sbrodolare penosamente sul vestino azzurro della dolce Monica dalle promettenti doti oratorie… e come superava gli esami orali lei, non lo faceva nessuna. Quest’anno, a dieci anni dal pompino più proficuo della storia, la dolce Hillary ha cominciato a deambulare tra una convention e l’altra (in compagnia di un cane lupo crociato sul dorso) in cerca di un riscatto personale. Ma si sa, quando le cose vanno già male, spesso continuano ad andar peggio: accecata dall’ambizione di fargliela vedere a quel bietolone panciuto ha dimenticato che al contempo l’avrebbero vista anche tutti gli ipotetici elettori. Risultato dell’intera operazione: un conato collettivo di proporzioni simili ad uno tsunami di modeste dimensioni, un marito annoiato e una figlia più cessa di prima (certe mise non le vedevo più dall’ultimo catalogo della Postal market). Sul versante personale, invece, Hillary non ha “visto” nemmeno un voto. Quando si dice il destino…
Ma io, vi dirò, io sarei stata magnanima; io il mio voto gliel’avrei dato… io avrei votato per il Braille.

Nella corsa verso la Casa Bianca (certi retaggi culturali sono duri a morire in fatto di ambizioni domestiche) è poi spuntata lei, Miss-porco-col rossetto-Palin. Fino a qualche mese fa nessuno la conosceva… a parte un manipolo di cerebrolesi dal neurone congelato, che l’avevano fatta governatrice dei bastoncini findus dell’Alaska. Colta dalla sindrome dell’assistente sociale rumena, ha pensato bene che il suo futuro potesse essere tra le braccia e le gambe dell’incartapecorito-ultra-settantenne McCain, sperando di poter godersi il “meritato” potere dopo la sua rapida dipartita.

Abbracciata affettivamente ad un mitra caldo di spara-minchiate elettorali e ad un rouge-gloss n.16 dell’Avon che le dava tanto un’aria da esperta sado-maso per ospizi allegri dal nome accattivante situati in quel di Via-Gra, la nostra donna-donna-uoma dalla vagina letale si è presentata al pubblico statunitense per riequilibrare l’odore di formalina emanato dal toupet del jurassico McCain.

Dopo gli ovvi quanto fragili entusiasmi per la novità scaturita dalla coppia “pornoinfermiera –dentiera rincoglionita” che si sarebbe assicurato almeno il voto di tutte le badanti d’America, le cose hanno cominciato ad andar male… a tal punto che, dopo l’ennesima esternazione di vagina-power e primadonna della piéce – McCain ha pensato di trombarla in itinere, cercando di limitare i danni di un’immagine poco autorevole e vincente. La Palin sperava infatti di convincerci che fosse giunto il momento del remake di Wonder Woman, ma soprattutto che bastasse sventolare il binomio mitra-vagina per conquistare gli indecisi e insabbiare la portata della sua inesperienza politica.

Il giorno prima delle primarie, congedandosi dal palco dell’ultima convention, miss Piggy ha biascicato un flebile: “spero di risvegliarmi alla casa bianca”. Mai previsione fu più azzeccata: la casa bianca c’era… eccome, ma sfortunatamente c’erano anche una paio di croci rosse affisse all’esterno e un enorme scritta indicante “per le camerette imbottite, per di qua!”. Le persone a lei più vicine hanno confermato che tutto sommato “l’ha presa bene” (la vasellina offerta dal partito repubblicano ha sortito il suo effetto) e che ha messo un’ipoteca sulle elezioni del 2012. Non saprei, ma credo che tra quattro anni, oltre all’ipoteca dovrà fare anche un bel mutuo a tasso variabile… per la quantità di rossetto che le servirà per ripristinare la sbobba che ci ha propinato quest’anno.


Questi i fatti. Adesso passiamo ai commenti.
La storia ci ha insegnato – oggi sono molto erudita – che qualcosa non è andata nel verso giusto. Dalla Francia agli USA un’eco si spande portando con sé la buona novella: il modello culturale prodotto dalle nostre nonnine in quest’ultimo secolo si è rivelato fallimentare. Molto. Troppo.

Urge quindi una riflessione, o meglio una riorganizzazione cognitiva della mappa; insomma, dopo esserci incamminate alla ricerca del tesoro, l’unico tesoro che abbiamo trovato è stato un perentorio messaggio dal mondo maschile “tesoro, non rompere i coglioni, i fornelli sono là e la scopa è nello sgabuzzino!!!”

Fuor di metafora, non siamo riuscite a convincere nessuno… o meglio nessuna. È questo infatti il nostro più grande errore. Insomma che gli uomini, i maschi, non credessero in noi ci era ben chiaro dal brodo primordiale, ma che non ci credessero nemmeno le donne… ecco questo lo abbiamo scoperto adesso. Non è chiaro se si tratti solo di assenza di solidarietà tra donne, quel che è certo è che non siamo pronte per alcun sorpasso culturale. E questo soprattutto perché il modello del girl power non solo non incanta, ma non incarna nessuno nuovo ideale… è solo aggressività e desiderio di rivalsa, ma in sé è un’immagine vuota che si sbriciola al minimo accenno di razionalità: sostantivo femminile, ma solo sul dizionario.
Non è più tempo di alibi e di false identità.
A proposito, non chiamatemi più Amanda… il mio nome è Nash. John Nash