venerdì 28 dicembre 2007

LA SORTE DI PARIS HILTON: FIN TROPPO BENEVOLA - part 1

Commettereste un errore se pensaste che io sia qui per fare gossip. No, non sono qui per parlarvi delle avventure porco-erotiche della bambolina dalla faccia cretina, quanto del significato (misero) che la sua vita ha assunto nell’immaginario collettivo. Ci sono infatti delle cose che sfuggono alla logica e al buon senso e che, nonostante non abbiano motivo di esistere, esistono in sé. Questa è la Hilton.
Il Corriere della sera di oggi (28 dicembre 2007) annuncia che (finalmente, ndr) nonno Hilton ha diseredato la nipote negandole di fatto il diritto ad una parte della cospicua eredità, ma che purtroppo ella non rimarrà a secco perché le abbiamo fatto guadagnare qualcosa come 7 milioni di dollari. Fine della buona notizia. Avercene!
Non so quanto realmente la Hilton piaccia agli uomini, di certo alle donne piace tanto… anche troppo. È un po’ di tempo che ci penso e mi chiedo ossessivamente perché ciò avvenga; insomma perché alle donne piace codesta macchietta umana? Già, perché? A ben pensarci, analizzando le sue caratteristiche psico-fisiche, non c’è nulla che a mio avviso possa interessarci; non è nulla di speciale fisicamente, e ancor meno da un punto di vista intellettivo. A memoria, che si sappia, non ha fatto nulla che possa essere apprezzato o che abbia avuto senso per la collettività. Il suo charme è tiepido, il suo talento è pressoché inesistente… ma “questa” allora perché ci piace? Immagino perché abbia tanti soldi e che sperperi sinapsi a go-go nella scelta degli straccetti che ama indossare. Ok, se avessimo i suoi soldi, noi certamente potremmo fare di meglio, ma anche questa spiegazione non sembra valida. Ne sono certa, ci deve essere qualcosa che non comprendo, ma che sicuramente rappresenta un motivo necessario e sufficiente. Non sarà per caso che il NULLA è un modello vincente? Ci penso su un giorno… perché ricordo di averci già ragionato.
INTANTO, DITEMI LA VOSTRA…

giovedì 27 dicembre 2007

DONNA DEL 2007: LAURA PAUSINI UNA DONNA CON LE PALLE

Da tempo mi premeva affrontare uno degli stereotipi grandemente a cuore di noi donne: la donna con le palle. Mi occorreva però, a dire il vero, un pretesto che rendesse puntuale la mia riflessione. Eccola: Laura Pausini, rilasciando un’intervista a Magazine Corriere della Sera di oggi (27 dicembre 2007), asserisce di aver dedicato il concerto a S. Siro alle “donne con le palle che (come lei. ndr) non hanno paura di lottare per difendere i loro valori rimanendo se stesse. Perché ci vuole coraggio ad accettarsi come si è.”
L’intenzione di comunicare un concetto positivo è lodevole (nella vita bisogna lottare, ci mancherebbe) ma l’immagine è fortemente negativa, anzi subdolamente falsamente positiva, poiché continua ad associare il concetto di successo ad un attributo maschile. Insomma, proviamo a disegnarla una donna con le palle?!
Io c’ho provato per tutta la mattina e nonostante le mie buone capacità grafiche, quello che è venuto fuori è stato solo e soltanto un vero obbrobrio. Oltretutto nei nostri mini-slip non ci entrerebbero neppure e, cosa più drammatica, ci toccherebbe cambiare anche tutto il guardaroba. No, è decisamente irrealizzabile.
Fuor di metafora, perché anche noi -come la bravissima Laura- continuiamo in quest’errore? Perché il successo deve solo essere considerato una prerogativa maschile? Perché associamo queste due idee?
Forse mancano esempi positivi, forse ci piace appropriarci di un simbolo, un trofeo del tutto maschile… forse tutto questo. Ci stiamo lamentando da oltre cent’anni con gli uomini/maschi per sottolineare una diversità arricchente, gli abbiamo letteralmente rotto i coglioni con i nostri sit-in, con le nostre proteste e per cosa?
Secondo me, col “diritto alla parola” che ci siamo conquistate ci stiamo pulendo le scarpe perché, ahimé, ci siamo perse qualcosa di decisamente più grande: la più grande opportunità che sia stata offerta, ovvero quella di essere solo e soltanto noi stesse… senza scimmiottare nessuno. La sfumatura appare sottile, ma credetemi non lo è. Socialmente, infatti, siamo diventate un ibrido mostruoso tra uomo e donna, degno solo di comparsate al circo delle meraviglie. È vero, adesso abbiamo la sensazione di esserci liberate dalla schiavitù secolare: siamo ganze e strafighe. Wow??? No, sob!!!
Volevamo essere libere di essere e di fare quello che volevamo (diritto sacrosanto) e grazie alla nostra “meravigliosa” creatività ci siamo riuscite. Siamo riuscite a trasformare questa libertà in un pressante obbligo interiore: farci crescere i coglioni a tutti i costi, sennò cosa penseranno di noi?
E VOI COSA NE PENSATE? ATTENDO FIDUCIOSA I VOSTRI COMMENTI

mercoledì 26 dicembre 2007

LA BICICLETTA CON IL NASTRO ROSA - 2 parte

[...] E dunque, l’azzurro per i maschietti e il rosa per le femminucce. A dirla così sembrerebbe un’ovvietà del tutto priva di implicazioni, ma io ci vedo altro: una divisione culturale, un’atavica spartizione del tutto che comincia dai colori e finisce… beh, diciamo che proprio non finisce affatto.
Tutto iniziò con gli abiti di Cappuccetto rosso (variante-porca delle ragazzine che se la vanno a cercare nei boschi), per continuare con il rosa delle gote della fortunata Biancaneve (ninfomane a prova di gang-bang con sette promettenti porno-attori dalle dotazioni straordinarie) e della Bella addormentata nel bosco (in attesa del principe – gay - che non arrivò mai). E poi Dio creò Lei: la Barbie. Il suo nome in principio era Carla Adele, ma i creatori della la bambola perfetta realizzarono presto che il nome non riusciva bene a rendere la sua componente troia e sbarazzina… e così la chiamarono Barbara. Il nome riecheggiava un caratterino combattivo e decisionista e mai nome fu più azzeccato. Alla base di questo nome vi è, infatti, la qualifica di “barbaros” riferita dai Greci a chi non parlava né latino né greco Come dire che avevano già compreso la nostra connaturata inettitudine, persino a parlare… figuriamoci a gestire un convegno con duemila intervenuti, o una cena con più di cinque persone! Anyway, visto che negli USA pronunciare questo nome presenta notevoli difficoltà fonetiche - capaci solo di farci apparire spastiche - venne creato il diminutivo Barbie, appunto. Superata l’annosa questione filosofica del come chiamarla, bisognava ora attribuirle le caratteristiche fisiche. Ora, stando alla corporatura media delle donne americane, i creativi avevano pensato ad una bambola obesa – sorella gemella dell’omino Michelin – che al limite, se proprio non si riusciva a farla camminare, la si poteva far rotolare felicemente. L’idea parve buona soprattutto alle industrie alimentari che vedevano in essa un’icona genuina della consumatrice-tipo e inoltre garantiva un certo ritorno economico in vendite straordinarie di merendine ad alto tasso di colesterolo. A Bill Gates, invece, l’idea non piacque per nulla poiché non sapeva come incrementare la vendita dei Pc. Alla fine – grazie a generosi lasciti alle fondazioni per la tutela delle donne-ippopotamo - egli riuscì a spuntarla… e fu così nacque la Barbie come la conosciamo adesso: l’esempio lampante di come può star bene il silicone se messo nei punti giusti, ma soprattutto il trionfo del rosa.

QUESTIONE: A PROPOSITO QUALCUNO DI VOI SA DI ALTRI MIRABILI ESEMPI DI FEMMINILITA' STEREOTIPATA?

martedì 25 dicembre 2007

LA BICICLETTA CON IL NASTRO ROSA - prima parte

[...] Il primo vero ricordo risale a quei risolini orgogliosi di mio padre che tentava con strani gesti di dirigere le mani esperte del portinaio nel tentativo di posizionare in bella vista quell’enorme fiocco rosa. Tutto qui: un gigantesco fiocco rosa-parto (ma per dove?) messo in bella vista per comunicare a tutto il quartiere la presenza nel mondo dell’ennesima scassa-coglioni. A dir la verità, l’unica persona che si era rotta davvero le scatole ero proprio io; mai visti tanti sguardi ebeti tutti insieme e soprattutto mai visto tanto rosa in vita mia. Sento ancora ondate anomale di nausea al solo pensarci. La tettarella rosa, il bavaglino rosa, il pannolino rosa, i peluche rosa, le cuffiette rosa… le incazzature rosa. E le cose non andavano meglio per i maschietti, ma almeno loro all’età di cinque anni incominciavano ad indossare anche altri cromatismi. A quanto pare noi invece non siamo mai riuscite ad abbandonarlo completamente, quasi fosse l’unica cosa degna di ricordarci di essere donne. Ed io che pensavo che una visita ginecologica semestrale bastasse a fugare dubbi di questo tipo.

QUESTIONE: COSA PROPRIO VI DA' SUI NERVI?

lunedì 24 dicembre 2007

La fiera delle vanità - part 2

Messe a nanna le ansie, attacchiamo subito le questioni fondamentali, non prima di aver dato aria ad alcune garbate e mature considerazioni. Questa è la prima: “CAZZO, se siamo cosi cesse, perché deve esserci ovunque uno specchio a ricordarcelo?!”. Lo sapevo, lo sapevo che non ce l’avrei fatta. Un attimo mi ricompongo… mi si sono scombinati i bigodini caldi di micronde.
La seconda è invece: “se la natura è stata poco clemente con noi - e se la sfiga non ci perseguita abbastanza - quale insano meccanismo interno ci induce a portarne uno nella borsetta, a guardare nei riflessi traslucidi dei cucchiai e a verificare le nostre adiposità in ogni vetrina lungo la strada?”
Mmm che deliziose questioni!!! Chi si prenota per rispondere? Per quanto mi riguarda, dopo anni di intensi e pallosissimi studi sono giunta ad una serie di risposte. Alla prima questione mi vien voglia di rispondere: perché la pazzia e la paura dell’ignoto non è uno stile di vita accettabile. Figurarsi, uscire di casa senza neppure dare una sbirciatina allo specchio! Non sia mai! Oltretutto, comporterebbe un tracollo psicologico irreversibile! No, no… la cosa è irrealizzabile.
Alla seconda invece rispondo: perché siamo masochiste, insicure, psicolabili, ma soprattutto perché così sta scritto nel nostro acido desossiribonucleico di donne sempre intente a fare la medesima cosa: risistemarci le tette per metterla nel culo alle nostre concorrenti. Si sa, la concorrenza è sleale – molto - e noi di certo amiamo essere pronte all’abbordaggio in qualsiasi istante, ma io francamente stavo pensando a risposte diciamo un po’ meno banali, sebbene mi duole riconoscere che ognuna di noi investe annualmente l’80% delle proprie risorse economiche e temporali per risanare i cedimenti strutturali e il restante 20% a sventolare in giro gli improbabili esiti di tali operazioni, con la stessa forza persuasiva delle vendite promozionali porta-a-porta. Mi correggo, dei saldi di fine stagione.

sabato 22 dicembre 2007

La fiera delle vanità - part 1

Lungi dal voler appesantire le vostre sporadiche sinapsi, vi risparmio ogni solfa filosofica sul rapporto tra specchio e identità, e vi introduco in maniera molto poco scientifica il tema del giorno: tutto quello che avremmo desiderato essere, ma che sfortunatamente madre Natura ha dispensato solo a Cindy Crawford. In altre parole, andremo a spiluccare quel complesso sistema di aspettative deviate e di ambizioni strabiche che fermentano nell’animo ogni donna e che definiscono quell’abissale incongruenza tra quello che siamo e quello che vorremmo essere: belle, bellissime, incredibilmente strafighe a cui nessuno può dire di no.
[...] niente panico e soprattutto non precipitiamoci a piangere, non siamo mica femminucce?!! Piuttosto, cerchiamo di affrontare l’argomento non come un tabù, ma con grande speranza, calma e razionalità. Su allora, infarciamoci di cocaina e invadiamo tutte insieme gli sterminati spazi dell’utopia! A coloro che fanno a meno di queste sostanze, consiglio di assumere la posizione del loto (molto cara alla mia dolce amica Elisabeth) e di iniziare a fingere come solo noi siamo capace di fare - 5 orgasmi su 6 meritano una menzione speciale - che la questione del “come siamo” non ci interessi affatto.

venerdì 21 dicembre 2007

Nella fine è il mio principio

Blaise Pascal diceva: “più conosco gli uomini e più apprezzo il mio cane”. Il saggio filosofo francese aveva sintetizzato in questo aforisma un fatto inequivocabile e post-moderno: l’assoluta inutilità e l’enorme spreco di talento di alcuni uomini. Dopo svariate riflessioni durate oltre vent’anni – sai che seghe mentali! - posso dirmi certa di non essere completamente d’accordo con quest’omuncolo di salute cagionevole e con la cofana in pieno stile D’Artagnan. Secondo me, vedete, Pascal non pensava in grande; perché riferirsi solo agli uomini e non includere anche le donne? Per esempio, una logica estensione di questo pensiero potrebbe delicatamente sostenere la mia tesi, secondo cui: “più osservo le donne, più mi rendo conto di quanto siamo puttane e stupide”.