domenica 25 ottobre 2009

LE SEGRETARIE DEL SESTO... SECOLO A.C.


Oggi ho voglia di vomitare. Oggi va così: ho voglia di vomitare. Che poi, voglio dire, vomitare non rende bene l’idea dello smottamento di detriti intestinali che amerei riversare sul piatto delle sostenitrici della cultura al femminile.
Non parlo ovviamente di quelle che fanno contro-cultura… quelle che rompono le ovaie… quelle come me, quanto quelle che fanno delle “pari opportunità a tutti i costi” il proprio vessillo post-femminista.

Parlo soprattutto di quelle che non fanno altro che rompere i coglioni agli altri, assurgendo al ruolo di vittime tout-court del secolare maschilismo nel tentativo di raggiungere obiettivi di uguaglianze. Insomma, di quelle che si lamentano per l’iniqua sorte… e poi continuano a lamentarsi se l’uomo non fa il galantuomo. Dicesi galantuomo, l’uomo che ama mettere la donna a proprio agio, pagare il conto al ristorante, pagare le spesucce … che ama pagare le puttane. Dicesi puttana, la donna che incassa. Incassa e tace.

Sono sempre stata convinta che la cultura avesse, in sé, un’anima progressista che, col passare del tempo, tendesse a miglioramenti incrementali. Poi, invece, succede qualcosa di imprevisto che ci riporta indietro nel tempo e ci fa esclamare un educato: cazzo, no!!!

E d’altronde cos’altro si può dire davanti alla nuova sit-com denominata filosoficamente “Le segretarie del sesto”?!

La televisione, si sa, è un gran distributore di merda, ma noi cosa abbiamo fatto per meritarci questo take-way culturale? Voglio dire, con tutte le professioni del cazzo che ci sono in giro perché rispolverare le segretarie?

Lo so, lo so, apparentemente non c’è nulla di male nel parlare di un pool di cretinette isteriche che fanno a botte per mettersi in mostra di fronte al boss, ma io penso che ci meriteremmo esempi di evoluzione di altro tipo.

Quello che mi innervosisce non è il telefilm in sé, quanto la reazione da parte delle donne, o la sua totale assenza. Non una voce si leva. Nulla!!!

Il populismo e le buone cose di una volta stanno invadendo, senza scampo, ogni ambito del vivere e del sentire. Ci sentiamo tutti coccolati da questo buonismo, da questo pietismo condito da “diritto inutile”. A nessuna/o, infatti, è mai venuto in mente il diritto a rifiutare? Siamo così infarcite dal volere, e volere a tutti i costi, che non ci sfiora nemmeno il pensiero che dovremmo imparare a dire “no”. Di cosa abbiamo paura… di perdere un treno che potrebbe prendere qualcun altro?

Me la prendo, invero, con i produttori di questa spazzatura culturale, ma soprattutto con queste attricette che si prestano senza spirito critico. Me la prendo con chi guarderà questa merdata, con chi dirà “carino!”… con chi non opporrà resistenza.

La televisione italiana è ancora ammorbata da stereotipi, è omologazione pura, è irrealtà spacciata per ambizione per le nuove generazioni.
Dopo i “medici in famiglia”, le tettone, le puttane da salotto, i fascinosi magnacci, le commesse dei negozi… oggi ci toccano anche le segretarie.

Resto basita.

Ditemi adesso che la Carfagna (questo è il suo compito) sta vigilando sulle pari-opportunità e sull’abbattimento degli elementi che rendono perpetua la segregazione occupazionale. Qualcuno me lo dica, vi prego!

E d’altronde cosa ci si può aspettare da una che fine a ieri bazzicava negli armadietti dei camionisti. Il cavaliere continua ad insultarci e lei, ovviamente, tace… come la più abile delle puttane.

Ci vogliono così, ma io davvero non ci sto.

Non ci sto. Non ci sto. Non ci sto. Non ci sto.

Buona domenica!!!

Ps: se vi state chiedendo cosa c’entri Rita Levi Montalcini con codeste creature, non scervellatevi (dote poco sfruttata) ve lo dico io: niente. Assolutamente niente!

Amanda.

martedì 13 ottobre 2009

LE PARI SCEMENZE DI UNA MENTECATTA DA CALENDARIO




Torno su queste mie pagine perché, per quanto mi sforzi, la politica spazzatura di questi mesi ha cominciato a farmi venire l’orticaria. Dio solo sa quanto mi sia sforzata di non guardare, di non sentire… ma, ahimé, ogni tentativo è fallito miseramente.
Lo sappiamo in tutti, il nano in preda ad un irreversibile sindrome d’onnipotenza – e ad una simultanea sindrome d’impotenza – ha cominciato a fare la voce grossa: l’unica cosa grossa che gli è rimasta, dopo quella polpetta grigiastra che si spera sfoci presto in una metastasi cavalcante.

Le persone che mi leggono mi chiedono sempre se abbia mai subito in giovinezza tante a tali sevizie da rendermi così acida nei confronti delle donne.
A questi personaggi (uomini o donne che siano) posso semplicemente rispondere che - visto che il numero delle coglione è in aumento, mentre l’intelligenza è rimasta costante – mi arrogo il diritto di parlare di qualcosa di grandemente attuale.

Lo sappiamo tutte, che le donne siano puttane, lo si sapeva da qualche millennio… il punto è che da qualche tempo a questa parte qualcuna ha iniziato a mistificare un contenuto di realtà, ammorbando l’aria degli uomini con strani concetti tipo “oltre le gambe c’è di più” “l’utero è mio e lo gestisco io” e via discorrendo.

Ancor più recentemente, sono state avvistate strane creatura dapprima visibili solo in qualche scalcinato armadietto di qualche arrapato meccanico o dentro l’abitacolo di qualche impenitente camionista.

La tesi degli “X-men” suggerisce infatti che, di tanto in tanto, l’evoluzione della specie compie degli straordinari salti in avanti… e fu così che nacquero le ministre delle pari opportunità. Non si sa bene da dove sbuchino, quanta fatica abbiano fatto per conquistarsi l’ambita poltrona. Sì, ok, sgambettare da mattina a sera e fare grandi sorrisi, mostrando tutti i lati disponibili, compreso il tubo esofageo, merita almeno un ministero. Ok ok, la bambina si è laureata… più o meno con le stesse scorciatoie della Gelmini. L’italia è anche questa, ma noi che abbiamo fatto per meritarci una mentecatta del genere?

Quando arrivo a parlare di “codesta” creatura, mi sento sempre additata come la solita donnaccia di estrema sinistra… e la cosa mi rende perplessa perché, in effetti, certi discorsi possono essere validi, non tanto prendendo una posizione politica, quanto limitandosi semplicemente ad analizzare i fatti.

La querelle tra Mr B e la maschia in gonnella mi ha lasciata indifferente: che se le diano pure di santa ragione… d’altronde sono pagati profumatamente per questo, no?!
Quello che mi nuoce è, invece, il constatare la totale assenza di una presenza che dovrebbe garantire, almeno sulla carta, il rispetto verso le paristronze. Insomma, che la Bindi sia un cesso non è un segreto nemmeno per Luisa che comincia presto, finisce presto e di solito non tira lo sciacquone. Non è nemmeno un segreto che il vostro capo del governo metta dei tacchi da 20 cm, allevi una foresta posticcia e si faccia di viagra direttamente in vena. Dico, saranno pure cazzi suoi… quando riesce a vederselo.

Il punto, per ritornare a bomba, è che la signora dal muso da cerbiatta e l’anima da vacca (le foto sparse nell'etere non le ho mica scattate io) non si stupisca affatto del ruolo che il master riserva loro: il nulla condito di niente con una spruzzatina di merda fumante.

Non lo capisco. Continuo a non capire: ma dove sta questa evoluzione? Sta forse nel fatto che a 4 donne venga riservato il talamo-passepartout del premier, mentre alle altre tocca di tornarsene con clava nella caverna domestica?

Non ci vuole un’arca di scienza: la donna amata dal premier (quella ideale, intendo) è la femmina che tace e conta meno del due di briscola. La Lario? Mai sentita. Della prima moglie? Boh!!! Non so, ma immagino che siano state profumatamente pagate per non proferir parola. Non mi stupisce quindi che anche la nostra Ca…gna sia stata strapagata per non dire un cazzo. Ella, com’è noto, si preoccupa solo di promulgare leggi spazzatura sullo stalking. Dicesi stalking quel reato per cui la vittima è sempre donna… e, guarda caso, diventa vittima quando si stanca di darla a gratis. Dio com’è servizievole!!! Quanta cura… e che stacanovismo!!! Nella sua mentuccia ha anche creato le “scatole rosa” da installare nelle auto delle donne, così, in caso di necessità, potranno essere prontamente rintracciate e salvate dal maschio bruto. Mai sentite cazzate più grosse. Poi, ovviamente, quanto si verificano aggressioni verso i gay (beneamati dalla destra come la merda sulla brioche a colazione) ella si limita a inviare una mail con su scritto: “Sono con voi!!!” Che azione politica, che impegno politico!!!
Per non parlare delle gang giovanili al femminile...
Si sa, l'importante e non vedere. Ok, insabbiamo anche questa.

Non ci sono dubbi: in Italia tutto va a puttane. E se ci va anche il premier, vuol dire che la strada è quella giusta.


Amen

giovedì 30 luglio 2009

PRESAGI CULTURALI. sottotitolo pacato:CAZZO AVEVO RAGIONE!!!


Ci sono giorni come questi – giorni in cui non si ha voglia di fare un cazzo, fatta eccezione per una goduriosa scorpacciata di mare, piselli al vento e uova in camcia – in cui la stanchezza per questo andazzo italiano mi provoca un’antipatica orticaria.
Ecco, stavo appunto per grattarmi in qualche innominabile posto davanti ad una pigra tazza di caffè quando improvvisamente mi scontro in un succulento articolo su Repubblica di oggi ( 30 luglio, 2009) che mi ha sollevato il morale.
Questo il titolo: “Arrivano i “taxi rosa” l’idea la femminile che divide Beirut.” Per dirla brevemente, sulla scia di pregresse sperimentazioni, arrivano anche a Beirut i taxi rosa. Si, insomma, dei veicoli in pieno stile “Barbie si reca alla sfilata di Barbie” che accolgono solo donne e che, ovviamente, sono guidati da donne.
Il mondo occidentale aveva, a suo tempo, applaudito a questo evento di “sana e robusta pari opportunità”, pensando che le donne dovessero avere anche i loro taxi, agghindati come dei saloni di bellezza su 4 ruote, all’interno dei quali farsi anche la ceretta senza che il conducente potesse in alcun modo approfittarne per radersi le palle (questa è vera uguaglianza!).
Tuttavia il “lieto evento” pare, giustamente, non aver sortito la stessa calorosa accoglienza da parte della popolazione locale. Dico “giustamente” perché, certamente, questa non rappresenta alcuna conquista sociale. Le donne islamiche lo sanno, sanno benissimo che la segregazione socio-culturale si è sempre giocata su questa spartizione del tutto in base al sesso… esattamente come succedeva negli USA nel periodo della segregazione dei neri, e dunque perché ripristinare queste secolari spartizioni?

Non v’è risposta, ovviamente. Il mondo islamico si occidentalizza, ma almeno conserva un certo spirito critico rispetto a queste cazzate. Vi dirò, e lo sapete, sono sempre stata contraria a queste innovazioni chiamate Pari opportunità anche perché a forza di favorire di qua e di là si finisce col creare – come afferma Francesca Caferri, autrice dell’articolo – una segregazione al contrario: una segregazione auto creata e auto diretta.
Pare, in effetti, che in occidente vada molto di moda l’autoesclusione blandamente mascherata da conquista “al femminile”. Sono anni che mi chiedo il senso delle “quote rosa” e di quelle minchiate che la Carfagna sta oggi proponendo in parlamento. Lo so, nella mente malata di molte donne c’è l’idea predominante e il desiderio di escludere gli uomini e di fare di tutto e del tutto un “affare di donne”, senza per questo porsi la questione se più che un “escludere” sia un “escludersi” tout-court dal confronto.
Ci piace pensare di non aver bisogno dell’uomo… fortunatamente, poi, ci accorgiamo che essere lesbiche è tanto caruccio, tanto complice, tanto intimo, ma che, santo iddio, noi di questi uomini proprio ne abbiamo bisogno. E non soltanto fra le gambe!
L’estate arriva. Donne, evolvetevi!!! Fatelo per voi stesse… almeno per voi stesse.

Alla prossima.
Vostra Amanda.

Ps: alla cara amica che mi parla dello stalking, dedicherò un post la volta prossima. Nell’attesa, imparate a fare meno le stronze.

venerdì 3 luglio 2009

MY BACK IS BACK


Lo so, pareva impossibile che io tornassi (ottimo congiuntivo!)... e invece eccomi qui. Per la gioia dei grandi e delle grandi.
Ero rimasta assenza dal web per sperimentare le gioie dell'ano-nimato per godermi un periodo di riflessione sulla scia dle post che poi non ho più scritto, ovvero quello di mr banana e di quella tardona della Lario. In verità, è tardone anche lui, ma cosa non fanno i copiosi interventi chirurgici, oggi?!
Ben poca cosa, direi, a giudicare dai risultati.
Sono tornata con la mia faccia di culo. Tralascerò la fiera della porchetta poiché, a quanto pare, ne sono state dette di tutti i colori sul conto del ritardo mentale di quella donzella - provetta attrice del cinema horror - consapevole delle tendenze pedofile di nonnoimpontente.
No, non vale la pena spendere nemmeno una parola su queste scempiaggini. Woody Allen l'ha sempre sostenuto: è solo paura di morire. E penso che mr. B abbia sviluppato un insano desiderio di eternità, pari solo a quello di M. jackson, che nel frattempo se l'è svignata alla chitichella con un incredibile moonwalker.
Anyway, questo è solo l'inizio... ma io sono viva. ed intendo restarci.
Viva la libertà d'espressione. Un grazie sentito a tutti gli afcionado che mi hanno scritto con i loro preziosi commenti sulle porcate delle donne oggi.
Adesso che arriva l'estate poi...

Vs Amanda

domenica 10 maggio 2009

martedì 28 aprile 2009

FOTO DI GRUPPO: OTTO OCHE E UNA RISERVA DI PORCHETTA


Torno dopo un periodo di andirivieni di influenze, sbalzi di temperature e di riflessioni profonde.
Cos’ho fatto in questo periodo? Beh, sono rimasta a guardare? Guardare cosa? Nulla, assolutamente nulla. Dicesi nulla: tutto quello che accade abitualmente e che non stupisce più per la sua intrinseca banalità.
In mezzo a tutto a questo nulla, in verità, c’è stato qualcosa di leggermente più annichilente… e desidero parlarvene.

In queste ultime settimane in cui il mondo è rimasto concentrato sui disastri ecologici, sui terremoti e sulle troie contagiose d’origine messicana, io sono rimasta nella mia villa di montagna a guardare il mondo dalla finestra… e dalla TV. Niente di nuovo sotto il sole, ovviamente. Fatta eccezione per l’ultimo autogol in ordine cronologico firmato Mediaset. Sia ben chiaro, Mediaset non mi sta antipatica… mi provoca soltanto una leggera orticaria e impulso a cospargere il pianeta di profumata diarrea… sarà che da quando i puffi sono al governo tali esempi di prestigiosa televisione mi fanno venir voglia di abbonarmi al digitale terrestre e contemporaneamente acquistare una sega elettrica per ridurlo a fettine sottili sottili che non puoi dire di no.
Mi riferisco ovviamente agli otto palmipedi della foto.
Ah, non le riconoscete? Cazzo, avrei detto il contrario. Beh, ve le presento brevemente. (da destra a sinistra).

La prima è Pamela Prati. Ballerina di fila al supermercato che negli anni è stata promossa a prima ballerina incapace di intendere e di volere. Nel giro, si dice che sia un trans, ma io sono fermamente convinta che sia soltanto una a cui va semplicemente regalato un burqua… e un abbonamento ad una scuola di ballo. Chissà che con un po’ di buona pratica non riesca a ballare da sola anziché essere spostata da un posto all’altro del palco ad opera di uno squadrone di forzuti ballerini.

La seconda è invece la nostra Valeriona. Nella foto la riconoscete agevolmente perché è quella senza il travestimento da palmipede e certamente anche la prossima a partorire una mezza quintalata di fois gras. Differentemente dalla prima, che almeno ci prova, ella non sa neppure il significato della parola “danza”… eh sì che in questi ultimi vent’anni uno stuolo di provetti insegnanti si sono dati un gran da fare per farle capire che un conto è il ballo un altro è lo starnazzare ammiccante davanti alle telecamere. E vabbé qui si potrebbe scrivere un trattato…

La terza è la notoria Nina Moric. Diplomata al ruolo di sfigata abbonata al silicone, ama grandemente l’arte del mimetizzarsi. Che poi ci vuol poco… e d’altronde dove potrebbe nascondersi una totale incapace se non in mezzo ad altrettante incapaci? Ella infatti non sa far nulla. Dicesi nulla, tutto quello che una buona moglie fa per amore, ma che qualcun'altra fa per soldi ad insolite altitudini.

C’è poi la Angela Melillo. Vincitrice di non so quale reality, si distingue in mezzo al gruppo per quella sua capacità di saper produrre espressioni infantili da bambinetta smaliziata. E qualcuno ancora ci crede.

Come state notando, ma mano che scendiamo nella lista il curriculum di ognuna di queste comincia ad accorciarsi. Seguono infatti le rimanenti quattro, tra cui spicca un’ex miss Italia premiata al concorso per la sua incredibile somiglianza con Sophia Loren. E basta. Campionessa di gaffe ortografiche e sintattiche, si è rifugiata nel ruolo a lei più congeniale: fare la spalla delle spalle ai comici del Bagaglino. Le ultime tre sono emerite sconosciute.


Vi starete chiedendo il perché di questa breve disamina. Vi credo sulla parola. Anche io mio sono posta la stessa domanda. Insomma, perché fare una trasmissione con otto donne (ah che eufemismo!)? Cosa avranno voluto comunicarci gli autori? Che messaggio avranno voluto dare queste otto cretine al popolo maschile, e ancor più a quello femminile?
Forse gli autori avranno voluto insinuare che per fare una vera soubrette al giorno d’oggi – con la logica del patchwork - ce ne vogliono almeno otto… e questo per cercare di nascondere il livello complessivo di incompetenza connaturata in ognuna di esse. Le oche giulive che invece hanno deciso di sfilare in questo bordello televisivo (cara Carfagna, le puttane non sono solo per le strade) hanno invece voluto comunicarci – a noi donne comuni mortali – che oggi il modello di donna vincente è quello che loro promuovono con la loro immagine: una donna che non ha bisogno di essere ma solo di apparire.

Badate, non v’è nulla di moralistico in questa affermazione. Quello che veramente mi irrita è il fatto che il piede nella fossa dello status quo culturale sia ancora così saldamente fermo. Ok, sì, forse è la solita menata femminista… ma di certo io sono davvero stanca di non vedere attorno a me donne con un valore aggiunto.

La bellezza, vera o presunta che sia, ha sopraffatto ogni cosa. Ma la bellezza basta davvero? Io questo me lo sono sempre chiesta. Mi sfugge infatti il senso di questa corsa. Dove si vuole arrivare? La gran parte di questi ritrovati di pseudo arte coreutica non è più né in età di marito né in età da parto. Sono vuoti a perdere. Hanno forse bisognosi soldi?

Forse semplicemente esistono… e per qualcuna sono la speranza che anche a cinquant’anni si può essere ancora piacenti. Si sa, gallina vecchia fa buon brodo, ma qui invero si parla di oche… e allora l’analogia si perde.

Fortunatamente il programma è stato un flop e qualcuno sta già pensando di cancellarlo, ed io fremente come non mai spero che il messaggio a queste tardone giunga chiaro e forte… come la pallottola in fronte che piazzerei volentieri in mezzo a quegli otto cervelli vuoti.

Oggi mi gira così… perché io fortunatamente le mestruazione ce l’ho ancora.

Hasta luego

Amanda

sabato 4 aprile 2009

WOMAN AT WORK… OVVERO LE FATICHE DI UNA DONNA EMANCIPATA


Io proprio mi sono rotta le ovaie. Sì, non ce la faccio più a sentirle blaterare. Le donne, intendo.
Da qualche tempo a questa parte, la quasi totalità delle donne ha cominciato a sentirsi colta da una fiamma divinizzante, onde per cui ogni cosa che viene detta a loro carico assume l’ennesimo attacco alla sacralità del proprio status di “intoccabili”.
Oltre a sentirci divine, noi amiamo anche percepirci come il centro del mondo: un mix letale tra wonder woman, la casalinga, l’amica e la madre perfetta. A noi questo ruolo piace… e ci piace soprattutto perché così abbiamo una buona scusa per rompere i coglioni per le vie del mondo. Sai che caciara!!!
Ecco, credo che sia proprio questa nostra attitudine a lagnarci che ci abbia portato a considerare ogni cosa troppo stretta e, per converso, a desiderare un mondo che non esiste nemmeno nelle favole. Infatti, quando ci proiettiamo in una fiaba – una qualsiasi, ovviamente - prediligiamo sempre il ruolo della piccola fiammiferaia oppure quello della principessa di turno o, anche meglio quello della sfigata che alla fine trionfa, tralasciando distrattamente tutto quel variopinto paesaggio umano costellato di streghe simili a mogli, sorellastre molto simili a colleghe d’ufficio… e ippopotami col tutù del tutto identiche a quelle immagini che riflettono lo stato di avanzamento-cellulite del nostro corpo.

Una delle lagne create ad hoc nel corso dei secoli è quella che riguarda il fatto che non ci venga mai data l’opportunità di dimostrare quanto siamo realmente cretine. L’uomo, dal canto suo, nel suo continuo ostacolarci ha cominciato a vestire il ruolo dell’alibi perfetto. Per fortuna nostra.

Nei giorni scorsi, il ministro Brunetta durante il convegno denominato Women at work, ha detto qualcosa di assolutamente vero, ma che nessuna donna – nemmeno la più autocritica – si sarebbe mai lasciata scappare dalla bocca, e cioè che la femminilizzazione dei lavori e delle professioni che scegliamo è una tomba che ci scaviamo da sole… e come siamo brave a farlo!
Su quel letamaio infiocchettato di rosa dette Pari opportunità si è infatti costruito tutto il nostro modo di vedere il lavoro oggi, ovvero una doverosa pausa remunerata maldestramente lasciata cadere tra i bambini che vanno lasciati a scuola, fare la spesa, andare a fare shopping, andare in palestra, dissipare lo stipendio proprio e del marito, cucinare preziosi manicaretti per la famiglia, lavare le mutande del nostro compagno di vita.

Dio com’è dura la vita! Come ci sfianca… Eh sì, deve essere proprio una gran fatica cucinare la frittata, ma di certo ci risulta facile rigirarla ad arte… soprattutto quando c’è di mezzo il suddetto status.

Lo status delle intoccabili è infatti quell’immagine collettiva che ci fa apparire vittime ad oltranza di un sistema – a nostro dire – costruito ad hoc dalle sapienti mani degli uomini al solo scopo di prevaricarci. Cazzo, mi ero infatti scordata che il coiffeur, la depilazione, la palestra, lo shopping, i tacchi alti sono stati la più brillante invenzione degli uomini. Insomma, pare che la donna non sia mai stata libera di creare ed essere se stessa. È sempre l’uomo che ci obbliga e noi questo lo sentiamo sulla nostra pelle. Giorno dopo giorno.

Noi donne, si sa, memori di un passato che ci ha visto schiave di non fare un cazzo mentre i nostri mariti andavano in guerra, abbiamo cominciato a battere i piedi per terra per ottenere il “mal” tolto. Il femminismo di oggi non si pone tanto la parità, quanto l’effettivo superamento dell’uomo. Una specie “super uomo” - o meglio una super donna – che può fare tutto… a patto che gli si lasci il tempo di non far nulla. L’importate – il nodo cruciale - per noi non è ottenere quanto rivendicare tutto il rivendicabile. Sì, noi vogliamo tutto. Vogliamo lavorare – ad esempio – ma al contempo vogliamo andare a fare shopping. Vogliamo anche essere madri (nostro sacrosanto diritto fisiologico), ma al contempo vorremmo lavorare (ovvero fare shopping). Vogliamo comandare il mondo, ma se la cosa implica troppe energie e troppo tempo quando ci andiamo dal parrucchiere, dall’estetista o a fare shopping? Vogliamo essere emancipate, ma ci incazziamo quando un uomo ci lascia pagare il ristorante (insomma, che fine hanno fatto gli uomini di una volta?) o non ci porta a fare shopping con la sua carta di credito. Vogliamo essere super, ma non appena qualcuno di dice “vai!” noi rispondiamo “eh, ma mica sono un robot?!”

Il punto è che noi siamo sempre dalla parte del giusto, per una questione di principio… In relazione a questo dogma, ogni cosa detta risulta una mancanza di rispetto per le donne. Sono esattamente queste le parole usate dalla Pollastrini, alla quale vorrei chiedere: “ma in quale condizione una donna può dirsi rispettata?” Io c’ho pensato e l’unica risposta che è giunta è stata: una donna si dice rispettata quando le si concede di fare quel che cazzo gli pare, e quando ne ha voglia.
Non sia mai, infatti, che ad una donna si faccia notare che “per caso” si è allontanata dal luogo di lavoro per fare la spesa. Guai serissimi, gentile amiche!!! Insomma, una donna ha il diritto di fare la spesa… se no i figli e il marito che cosa mangeranno?

Un’altra minchiata galattica è quella dei congedi parentali. Gli uomini all’asciutto di questa materia sicuramente non sanno che dal 2000 (legge 53) ci sono questi benedetti “Congedi parentali”, i quali però – e ribadisco “però” – sono ottenibili dagli uomini solo se la donna è disposta a concederli al marito. Il punto è che la donna non vuole: la maternità infatti – questo diciamo noi, anche in relazione al vantaggio di godersi il pupo – è una prerogativa a cui nessuna intende rinunciare, ma allora cosa cazzo sono stati inventati a fare?

C’è poi una questione alla quale vorrei che qualche lettore/ice rispondesse: ma perché quando la parità tra i sessi è sostenuta da una donna è emancipazione e quando, invece, è sostenuta da un uomo è maschilismo? Perché la parità dell’età pensionabile è vista come “un linguaggio vecchio e maschilista” (per usare le parole della Bindi… di certo più maschio di La Russa)?

A coronare il fronte delle proteste delle femmine da Montecitorio (speriamo in via d’estinzione… soprattutto se uguali alla Carfagna, ma ahimé c’hanno rifilato anche la Matera!) ci sono state quelle della Carolina Lussana della Lega, la quale è la sostenitrice del “mal comune mezzo gaudio” con frasi del tipo : “prendere un caffè o leggere il giornale sportivo non è un modo di assentarsi dal lavoro?” Certo cara la mia mentecatta, lo è… eccome, esattamente come leggersi Marie Claire e fare gossip al bagno delle ragazze. La stessa poi conclude con: “se pure fosse vero… fare la spesa non è assenteismo ozioso, come quello degli uomini.”

Dopo una battuta del genere a “questa” mi verrebbe voglia di seppellirla viva. Cazzo, come non averci pensato io stessa?! È un’argomentazione che non fa una piega. Da oggi in poi, infatti, consiglio a tutti indistintamente di assentarsi dal lavoro per fare palestra, o qualsiasi altra cosa che non comporti ozio. Insomma, l’importante è non essere pigri. Geniale, nevvero?!

Dopo questo tripudio di cazzate femminili, io spero che quella sagoma di Brunetta non si faccia intiepidire da quell’unico neurone “rosa-calendario di Max” al secolo Mara Carfagna.

A tutte le altre wonder women che devono ancora imparare a cucinare due uova, stirare un tovagliolo e mettersi il fondotinta come si deve, lancio un laconico: ma andate a cagare!!!

Amanda




mercoledì 25 marzo 2009

9 MARZO FOREVER


Ci sono anni molto strani, anni in cui il tempo sembra non passare mai. Ecco, io quest anno mi sono ritrovata questa spiacevole sensazione nelle tasche della più amara consapevolezza (Dio come sono alta,oggi! ndr.)

Quest’anno, infatti, diversamente dall’anno scorso – o del tutto uguale a l’anno scorso – mi sono trovata di nuovo a contare i centesimi dell’indifferenza… e, badate, non parlo di quella degli uomini; a quella, ormai ci siamo abituate. Mi riferisco infatti a quella delle donne verso le altre pari-stronze.

Che dire? Anche a questa, ahimé, ci siamo abituate, ma io pensavo che almeno per un giorno all’anno potessimo mettere da parte le nostre abituali competitività in favore di un ragionamento che il nostro status di donne “emancipate”impone. E invece cos’è successo? Nulla, nothing, nicht, rien, nada de nada.

Quest’anno, anche in concomitanza della promozione del mio libro, sono andata a Milano. La giornata era insolitamente calda e piacevole, le donne in giro per le strade (come tutti i giorni dell’anno) erano davvero tante, ma chissà perché andavano tutte per cazzi loro (Dio come sono bassa oggi!). Si, ok, quasi tutte tenevano in mano o sul bavero della giacca un ramoscello della mimosa, ma questo cosa cazzo c’entra con la festa della donna? (sto cominciando a raschiare il suolo dell’incazzatura) Non è che per comprare un mazzettino spelacchiato di mimosa bisogna aspettare l’8 marzo, eh?! Chi invece aspetta l’8 marzo sono proprio gli uomini. Loro sì che non si dimenticano mai di questa festa, fosse soltanto per attenderci in ogni dove con un ramoscello della suddetta acacia per lanciare l’ennesimo attacco al nostro amor proprio, proponendosi con cortesia e un filo di bava alla bocca per trattarci come principesse. Una volta l’anno, infatti, i più sensibili si svegliano un quarto d’ora prima, razziano l’aiuola più vicina, quindi s’avventurano in cucina facendo maialate inenarrabili maldestramente spacciate per “nouvelle cuisine del mentecatto” che poi addobbano su un improbabile vassoietto.

I meno sensibili invece ci attendono sui mezzi di trasporto con lo stesso ramoscello e la stessa bava, ma con una marcia in più: uno straordinario invito a cena in un lussuosissimo ristorante… che noi ovviamente declineremo in favore della classica goliardata tra donne che ci vedrà rinchiuse in chissà quale ameno locale malfamato a fare pompini allo stripper di turno infarcito fino alla punta dei capelli di Viagra.
Non starò qui a biasimare nessuna od a fare la morale… e d’altronde se i vostri mariti sono stati scelti su basi diverse da quelle fisiche, è perfettamente naturale cercare una cannuccia da ciucciare almeno una volta l’anno. Quindi lasciamo stare.

Quello che veramente mi ha colpito – ma a questo anch’io dovrei esserci abituata – è stata la totale assenza di voci. Milano era sì piena, ma di stronzette protese a spendere la paghetta del marito o la misera busta paga (invisibilmente decurtata di un buon 15 % rispetto agli uomini) nei negozi del centro. Per fortuna che il sindaco di Milano è una donna… perché altrimenti al posto dei musei aperti non avremmo avuto neppure quelli, ma solo il classico calcio in culo che tanto ci eccita per 364 giorni l’anno. Sì, dev’essere così, a noi la nostra condizione piace… ci piace davvero tanto. Ci piacciono le gentilezze, gli uomini che ci aprono la porta, che ci fanno regalini ogni due-per-tre, che ci mantengono. E se, santo iddio, ogni tanto ci danno qualche terapeutico ceffone, che problema c’è? E dunque perché modificare questo status quo? Se veramente le cose non ci piacessero, ci armeremmo di tutto punto e ci uniremmo a forza per dire la nostra. Ma che distratta – scusate – mi ero del tutto dimenticata che noi siamo solo in grado dire grandissime minchiate.

L’8 marzo 2009 penso che sarà ricordato per le cazzate della nostra cara Carfagna che con orgoglioso tailleur ci dice che adesso c’è una legge sullo Stalking (attenzione ragazze il discorso vale anche per voi) , ma soprattutto per la mega minchiatona cosmica del presidente dell’ANML (associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro) Marco Fabio Sartori che in occasione del lieto evento lancia il progetto NOTE SCORDATE.
L’iniziativa è stata fatta ruotare sulla deplorevole sorte delle donne morte sul lavoro. La notizia, vi dirò, mi ha colto di sorpresa forse perché ho ancora nelle orecchie le urla di quei poveri disgraziati della Tyssen o di tutti quei bei maschietti che se ne stanno sulle impalcature a fare lavoretti che noi etichettiamo come “lavori da maschi”… (ma non stavamo cercando le pari opportunità?)
Storco il naso ma resto all’ascolto… e ci resto fino a che non scopro che in verità gli incidenti delle donne sono fortemente inferiori a quelli occorsi agli uomini, ma che il 70 % di coloro che hanno avuto un incidente lo hanno avuto non già sul lavoro, ma sulla strada per recarsi sul posto di lavoro.

Intermezzo spastico
No, perdonate, credo di non aver capito il nocciolo della questione… gli incidenti avvengo sulla strada??? Scusate, ma questo cosa minchia-cazzo-ano-vagina c’entra con le morti sul lavoro??? Non sapevo che la strada partecipasse all’incuranza del datore di lavoro o fosse complice dell’assenza degli estintori…

Spiegazione
Siccome mancavano studi inutili volti a dimostrare la discriminazione delle donne, qualcuno ha pensato bene di metterla sul tragico e di sollevare la questione circa la mortalità delle donne che vanno a lavorare, quando invece gli uomini usano il tele-trasporto per compiere lo stesso tragitto.
Il fenomeno è stato anche osservato per elaborare – non senza un esoso esborso da parte dei contribuenti – un piano o iniziative per arginare il fenomeno. Queste alcune proposte:
1 - la costruzione di Aree di sosta Rosa, in cui ogni avveduta lavoratrice potrà riposarsi grazie all’ausilio di esperti massaggiatori, coiffeur ed estetisti per le feste. Certi stress vanno accuratamente evitati!
2 - l’elaborazione di un nuovo orario di lavoro che prevedrà una riduzione dell’orario in favore di altre attività altamente remunerative come darsi il rossetto prima-durante e dopo le riunioni, fare un perentorio cambio d’abito tra mattina e pomeriggio quindi un riposino di mezz’ora ogni mezz’ora per evitare i fisiologici cali di attenzione. Dio non voglia che le rughe ci sconvolgano il make-up!;
3 - uno sconto del 70 % su prodotti probiotici a base di omega 3 che rafforzano le difese immunitarie e le risposte agli stimoli esterni quali sorpassi, parcheggi e pagamento dei pedaggi… tutte attività create ad hoc per discriminare le donne;
4 - l’uscita due ore prima dal lavoro, in modo tale da assicurarsi le strade tutte libere per fare i fatti propri anziché guardare quel cazzo di strada che si trovano davanti. Dicesi strada: quell’insignificante cosa nera con una striscia bianca (continua o intermittente) sui cui facciamo di tutto tranne che guidare.
5 - un tampax commestibile in dotazione a tutte le lavoratrici, così non dovranno costantemente fermarsi – almeno una volta al mese – in quelle lerce aree di servizio.
6 - una Pink-box con satellitare e salvavita Beghelli per quelle sciuprinate che non sanno cambiare una ruota, ma preferiscono farsi violentare da un rumeno qualsiasi piuttosto che sporcarsi le mani…. Oddio, che distratta, questa l’hanno già inventata. Sigh!!


Morale della favola: le donne, pur di sorpassare gli uomini, vanno anche a lavorare, ma spesso preferiscono non arrivarci.

Benvenuto 9 marzo!!!







sabato 7 marzo 2009

RAGIONE 7: AMIAMO RACCONTARCELA. SENZA AUTOCRITICA.


8 MARZO… STUPRO A PROVA DI AUDIENCE


… e ci siamo! Siamo giunte all’8 marzo del 2009.
Tra le tante discussioni fatte apposta per questa data memorabile, quella che più ha coinvolto gli italiani (e le italiane) in quest’ultimo periodo è stata la questione “Stupri”.

Non passa giorno che da qualche parte d’Italia non si consumi un atto così orribile. Ecco, da questo punto di vista, io sono assolutamente concordo: lo stupro va condannato senza SE e senza MA.

Detto questo mi affretto subito ad evidenziare che oggi stiamo assistendo ad una spettacolarizzazione dell’orrido. Già molto in voga nel tardo ‘800, intorno agli ’40 e ’50 aveva lasciato il passo ad un più compassato neo-realismo capace di tratteggiare la realtà dei fatti con misurata ostentazione, per riproporsi a noi sotto una veste nuova: lo scintillante abitino di paillette destinato alle grandi occasioni. Insomma, stupida e mentecatta chi non ce l’ha.

Di questi tempi, sulla scia del tam-tam degli ultimi (presunti) avvenimenti, c’è infatti chi si sta divertendo a cavalcare l’onda. È il caso di Christine Del Rio, ma sono pronta a scommetterci che non sia l’unica.

La ragazza, intervistata dalla D’Urso, racconta di essere stata segregata e violentata per 3 giorni. Strano a dirsi la notizia, si è inserita nel polpettone mediatico riscuotendo un notevole successo… insomma, è capitata al posto giusto al momento giusto. Toh, ma guarda che deliziosa coincidenza?!
Fermiamoci un attimo e cerchiamo di rifletterci sopra.

Mi sono spesso chiesta “se” e “quando” si può parlare di stupro. Lo so, la questione non si presenta affatto lineare, ma occorre cercare di capire le cose e questo soprattutto perché, tanto per cominciare, una cosa appare chiara: si parla di stupro solo quando è la donna a dirlo. Insomma, tutto dipende dalla percezione della donna… tutto dipende da come noi rielaboriamo quello che probabilmente è stata la scopata del secolo, o la più noiosa perdita di tempo.


Sulla questione stupri aleggiano più o meno una serie di stereotipi, fissi e granitici a tal punto da non consentirci una prospettiva oggettiva.


Il primo è quello che riguarda la natura delle vittime. Ecco, secondo questo schema, la donna è sempre la vittima e l’uomo è sempre il carnefice. E questo schema si ripete come una macchina perfetta in ogni situazione come una fotocopia non dissimile dall’originale, senza che nessuno ponga almeno un ragionevole dubbio su tutta la faccenda. In conseguenza a ciò, appare chiaro che solo la donna abbia da “perderci” e che sia solo l’uomo a “guadagnarci”. L’icona della vittima, ne converrete, ha poi un certo fascino: ispira quasi tenerezza e senso di protezione. Sarà per questo motivo che ci diciamo disgustate da questa pratica e immaginiamo acriticamente che se qualcosa è avvenuto è solo colpa dell’uomo, dei suoi bassi istinti e non già della qualità delle nostre mete. Noi donne sappiamo – e qui che gli uomini falliscono – che se è vero che l’uomo è cacciatore per indole, la donna è sicuramente puttana, perché sicuramente la voglia di figa del maschio e direttamente proporzionale alla voglia di cazzo delle femmine. Apriti cielo!!!

Sia chiaro qui non si tratta di far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra, ma di certo asserire che tutti gli uomini siano violenti e che tutte le donne siano vittime, equivale ad un errore non del tutto dissimile a quello che potremmo commettere se ipotizzassimo il contrario.

Il secondo stereotipo – largamente abusato nelle culture cristiane – è quello che vede la donna pensare al sesso come mero strumento riproduttivo… il che è esattamente falso come asserire che gli uomini pensano al loro pisello solo per pisciare. Secondo questo modello iconografico, la donna – una volta messi al mondo i figli – ripristina in un certo senso l’antico verginale splendore di un tempo, sublimando tutti i propri umani desideri in magnifiche torte fatte in casa o in deliziosi manufatti ad uncinetto. Come dire che la realizzazione della donna corra sul filo della Cucirini Cantoni Coats e sugli etti di farina e uova biologiche, mentre gli uomini – non avendo personalmente prodotto nulla di significativo, se non un manipolo di girini impazziti – continuino imperterriti a cercare un contenitore vuoto da riempire ogni due-per-tre.

Altro stereotipo investe invece il set delle motivazioni addotte. Infatti, se una donna mente all’uomo “giusto” per farsi mettere incinta non commette nessun reato sull’uomo, mentre l’uomo che non ha nulla da dare se non una sana e goduriosa scopata ha il 99% di possibilità di essere denunciato come stupratore. In linea di massima, l’uomo è sicuramente stupratore se ha il conto in banca vuoto o se non ha un programma televisivo in cui farle fare la conduttrice. Visto che in Italia siamo fanatiche delle statistiche, proviamo a far mente locale sulla tipologia del violentatore-tipo. Direi che, senza stare lì a fare grossi studi, di solito si tratta di un extracomunitario/italiano e comunque di un nulla tenente. Se l’uomo corrispondesse una contropartita adeguata, la donna di certo non avrebbe di che lamentarsi. Insomma, chi sputerebbe nel piatto in cui mangia? Quante donne sono passate dal letto di altrettanti uomini per propri interessi? Non mentiamo su questo… abbiate il fair-play di non farlo, non è credibile. No davvero!!!
La prostituzione, il darsi a cottimo per raggiungere uno scopo, sconvolge solo i pii custodi della morale più oscena, o quei gretti puritani che preferiscono risolvere questo tipo di questioni in casa propria. Strano a dirsi, infatti, nessuno/a ammette di aver colto l’occasione d’oro e di essere arrivato/a solo in base alla proprio talento. Il talento, per quel che riguarda la mia personale prospettiva, oggi è cosa assai trascurabile… altrimenti non si capirebbe il proliferare di personaggi ameni che vantano zeri prima e dopo la virgola.

L’ultimo stereotipo è invece quello tipicamente femminile che riguarda il concetto di opportunità, ovvero del perché una donna si ritenga legittimata a denunciare l’atto come stupro. Al di là di tutte le possibili motivazioni, va precisato che – come in tutte le cose - è sempre la donna che decide. È la donna che decide “se” e “perché” si sia trattato di stupro, e l’onere della prova del contrario ricade sempre sul maschio. Il punto è , infatti, non tanto che la donna provi davanti ad un tribunale che sia trattato di uno stupro, quanto che l’uomo abbia le prove che non si sia trattato di questo.
La donna dal canto suo può infatti sfoderare un immaginario incredibile pari solo a quello di Tinto Brass. Stando così le cose, per esempio, potrei tranquillamente costruire la scena di uno stupro senza aver minimante esserne stata vittima… tanto i copioni sono tutti uguali. Nel volete una prova? Eccola!!!
Lei arriva al commissariato di polizia dopo essersi iniettata gli occhi con il profumato olezzo di una generosa cipolla bionda. Poi, fingendo, un opportuno singhiozzo, dirà alla psicologa del cazzo di essere stata abusata nel seguente modo: dopo aver accettato il passaggio da uno sconosciuto apparentemente gentile, è stata condotta in un boschetto e lì – senza alcuna possibilità di sorta – a dovuto subire violenza. L’en-plein viene realizzato con l’esibizione di una generosa macchia di sperma sulla mutandine o sul luogo delle presunte sevizie. E vissero tutti felici e contenti.


Ne sono certe, tutte/i coloro che credono ciecamente negli stereotipi testé enunciati, mi tacceranno per una donna cinica e poco sensibile. E d’altronde che ne so io dello stupro? L’ho mai provato personalmente?
Forse che si forse che no, ma una cosa è certa: in questi ultimi anni abbiamo stranamente imparato comportamenti bizzarri, primo fra tutti quello che ci fa piangere davanti ad un film, ritenendolo vero nel suo potenziale emotivo, ma che ci allontana al contempo dall’ipotesi che la realtà possa essere falsata. Insomma è del tutto legittimo che una persona reciti in un film, ma risulta paradossale che la stessa possa farlo nella realtà… e questo perché la domanda spontanea che viene è: perché mai dovrebbe o avrebbe dovuto farlo? Perché mentire?

C’è un interessante giallo di Agata Christie tradotto col titolo de “La serie infernale” che a mio avviso rispecchia pienamente la qualità dei miei dubbi. Ve lo riassumo brevemente: un misterioso serial killer appare attratto dall’idea di uccidere le sue vittime seguendo l’ordine alfabetico, collegando le iniziali delle vittime al luogo dell’omicidio; per cui la prima vittima si chiama Alice Asher e viene uccisa ad Andover, etc. Apparentemente le vittime non sono collegate tra loro se non dalla logica dell’assassino. Giunti al quarto omicidio, quello della lettera D, il mistero viene argutamente svelato da Poirot: in realtà, l’assassino non è interessato a tutte le vittime ma solo a quella le cui iniziali sono con la lettera C. Cosa succede in realtà? L’assassino per depistare la polizia nasconde un omicidio in mezzo ad altri, in modo tale che il movente non sia riconducibile che mentalità perversa di un pazzo.
Dove, infatti, si può nascondere una motivazione personale se non in mezzo ad un gruppo di motivazioni apparentemente uguali? E quindi dove si può mimetizzare un falso stupro se non in mezzo ad altri stupri? Ci vuol poco, lo sapete, a far passare una scopata per stupro… tutto dipende dal racconto che si fa di esso, e dalle similarità narrative con quelle di uno stupro reale. E d’altronde chi potrebbe provare il contrario? La risposta è: nessuno. Nessuno potrebbe controbattere.

Attenzione non sto dicendo che tutti gli stupri siano simulati, ma è anche vero che c’è chi ci sta sguazzando largamente in questa situazione caratterizzata da illogico allarmismo. E difatti, proprio in questo periodo di “allarme stupri”, che gli stupri appaiono aumentare quando sarebbe logico aspettarsi che in ragione di un ipercontrollo istituzionale questi tendano a diminuire. Non è legittimo pensare che se un ladro sapesse che in una certa casa c’è un allarme, sia implicitamente demotivato a compiere un furto?

E quindi proviamo a far quadrare il cerchio. Perché la signorina Del Rio viene a raccontarci la sua storia? Perché mai dovrebbe farlo, perché proprio oggi, perché proprio a noi? Vuole forse denunciare il (presunto) molestatore? Vuole forse farsi portatrice di un problema? No, nulla di tutto questo, e d’altronde cosa ne sappiamo noi. Per quanto ci riguarda la sua storia potrebbe essere stata inventata… né più né meno come la favola di Pretty woman; ci piace pensare che possa essere verosimile… che un giorno possa capitarci la stessa cosa. Da puttane a principesse. Il sogno di tutte.
Ma ahimé verosimile non significa mai vero… significa solo plausibile.

Una cosa invece è assolutamente vera: la signorina del Rio si è guadagnata uno spiraglio nell’affollato universo delle cretine pronte a tutto… e se sarà fortunata qualcuno la pagherà per tagliare il nastro inaugurale all’apertura di un supermercato rionale.

E dunque, evviva gli spogliarelli maschili, le pari opportunità e l’acacia!!! Le mimose si sono estinte all’inizio del secolo.

Evviva le donne! E non abbiatene a male se non mi unisco a voi.

Amanda

lunedì 2 marzo 2009

RAGIONE 6: LA NOSTRA INETTITUDINE E' IN AUMENTO



Non sappiamo neppure prepararci una valigia.
Lo strano caso di Nikita.



Le nostre nonne non sarebbero fiere di noi. No davvero.
Mia nonna Adele, era solita ripetermi che una vera signora – non una sgualdrina come ce ne sono tante – si vede da tre cose:
1 -da come si comporta al ristorante;
2 -da come si veste;
3 -da come si prepara per la valigia per le vacanze.


In quasi un secolo di evoluzioni acrobatiche femministe, molte di noi si dicono certe della “qualità” raggiunte in alcuni spazi del vivere. Così, ad esempio, per quanto riguarda i comportamenti da “ristorante” abbiamo assistito a rivoluzioni copernicane, tali per cui siamo passate da “sconvenienti” situazioni in cui Lui pagava il conto facendoci sentire delle merdine a “convenienti” situazioni in cui lui continua a pagare il conto facendoci sentire inferiori. Sì, lo so, non è cambiato gran che, ma almeno non ci siamo ridotte sul lastrico. Con quel che costano i ristoranti oggigiorno… Abbiamo inoltre appreso che non ha senso sollevare questioni di principio, soprattutto quando ci sono di mezzo i soldi. I nostri, è ben noto, vogliamo sperperarli liberamente nelle boutiques piuttosto che donarli al Rifugio del mentecatto incapace perfino di prepararsi due uova al tegamino. Il risultato dell’intera operazione culturale ha un solo nome: mantenute. Ne sono consapevole, il tutto appare degradante, ma a noi piace… e ci piace ancora di più soprattutto se, una volta tanto, possiamo fingere (bravissime in tutto) di ammantarci di expertise nell’arte culinaria, ordinando i piatti più costosi del menù.

Vi è poi la questione del vestirsi. La moda – lo vediamo tutte - si è evoluta trasformandoci da gran dame a battone à la page… grazie ad uno stuolo di stilisti che ci hanno abituato a sentirci sensuali solo a bordo di scomodissime decolletè dal chilometrico tacco, di inguinali micro-gonne a rischio di estinzione della topa da riporto, di scollature a prova di polmonite-ogni-due-per-tre.
Per questo motivo, anche da questo punto di vista, la nostra signorilità nonché la nostra femminilità ha tirato le cuoia con largo anticipo rispetto a tutto il resto, evidenziando una certa attitudine al fallimento nelle attività di routinaria prerogativa femminile.
Se è vero, infatti, che gli stringenti corsetti dell’800 ci impedivano i movimenti più naturali – obbligandoci a statuarie posture in pieno stile “soprammobile di Capodimonte” – non è che adesso ci divertiamo a sperimentare nuove e sempre più avvincenti combinazioni yoga da passeggio. Per nulla, anzi direi che ci siamo aperte a nuove prospettive ermeneutiche sul significato della sofferenza, dell’alluce valgo, della congestione intestinale e della deambulazione strabica… molto poco professionale se non sui marciapiedi poco illuminati delle nostre città. Anche in questo caso, bisogna ammettere che anche il concetto di “vera signora” è stato tradito in favore di un più prosaico concetto di “adescatrice inconsapevole”. Forse.

Ed eccoci alla questione delle valigie. Le donne riguardo a questo argomento fanno sempre la parte delle gnorri, ovvero fingendo grandemente di non sapere, di non vedere… di non avere la forza per sollevarle. Gli uomini, per certi versi più pratici, hanno invece il polso della questione, anche perché di solito sono loro a portarle e a spostarle da un luogo all’altro non senza un piccola dose di curiosità variamente esprimibile nel classico: ma che cazzo c’hai messo dentro?
Questa frase nei secoli non si è modificata. Un tempo, infatti, i maschi da facchinaggio – sposati e non - erano soliti usare espressioni meno colorite, del tipo: “Perdinci, ma cosa cazzo vi siete portata appresso sua Signoria?”
Lo so, gli uomini, non sono mai stati creativi, e d’altronde cosa c’entra la creatività con la quantità di stracci che amiamo portarci in ogni dove?
Il problema, in verità, si correla ampiamente con il nostro livello di autostima, ormai giunto ai sottotacchi dei trampoli da cui non riusciamo più a scendere. Quello che veramente ci turba e ci espone a frequenti crisi di isterismo è l’ipotesi, anche remota, di non avere l’abito giusto per ogni occasione. Di solito infatti, in prossimità delle vacanze – non importa in quale ameno luogo di villeggiatura – cominciamo a fare una lista di possibili eventi non pianificabili in cui potremmo imbatterci. Quella che segue è la lista-minima approvata dal Comitato per la salvaguardia dell’autostima delle cerebrolese del terzo millennio:
- incontro spirituale col Dalai Lama
- incontro intimo con Rocco Siffredi
- incontro spazio-temporale con la nostra compagna delle scuole elementari
- incontro annichilente con la nostra portinaia
- incontro “8 marzo” con Mara Carfagna
- incontro lesbico con Maria De Filippi
- incontro efficiente con il ministro Brunetta
- incontro salottiero con Bruno Vespa
- incontro glamour con Anna Wintour
- incontro filosofico con Immanuel Kant
- incontro a sorpresa con Osama Bin Laden
- incontro mistico con Bernardette
- incontro culinario con Antonella Clerici
- incontro religioso con Suor Germana
- incontro scassaminchia con Alda Deusanio
- incontro preveggente con Solange
- incontro deprimente con Gisele Bundchen
- incontro molto deprimente con Gisele in compagnia di Elle Mc Pherson
- incontro deprimentissimo con le prime due sul set del Calendario Pirelli
- incontro infantile con Cristina d’Avena
- incontro molto infantile con Cristina d’Avena ed Elisabetta Viviani
- incontro vantaggioso con Donald Trumph
- incontro molto vantaggioso con Donald in compagnia di Bill Gates
- incontro vantaggiosissimo (al limite della botta di culo) con Donald, Bill e il sultano del Brunei
- incontro sfigato con i primi tre in compagnia della Bundchen e della Mc Pherson

Spero di non aver dimenticato nulla. Ah si, il beautycase. Adesso c’è proprio tutto.
Insomma, lo capite benissimo, non ci si può far trovare impreparate… nossignore. E poi, cosa penserebbero le compagnie aree se ci presentassimo al check-in con un paio di bermuda, un top e un tampax? Va bene il senso pratico, ma al miracolo non siamo ancora pronte.
Ad ogni modo, sebbene il nostro grado di accuratezza in questi casi sfiori la perizia certosina, si sono verificati casi di imperdonabile inettitudine. È questo il caso di Nikita.

Il suo nome, ai più sconosciuto, ci riporta a qualche settimana fa, e precisamente al 23 febbraio scorso. Nikita, donna felicemente sposata con un grosso immobiliarista specializzato nel “mattone facile”, aveva da poco saputo con suo sommo piacere che, dopo anni di continue preghiere, Gabriel – suo marito – aveva deciso di regalarle il viaggio dei suoi sogni: un lungo soggiorno all-inclusive in quel di King Bibble, le magnifiche isole sperdute della Polinesia Francese.
Dopo le prime estasianti attestazione di gratitudine per quell’inatteso regalo, Nikita realizzò ben presto che un crescente disagio stava prendendo il sopravvento nel suo nobile animo. Insomma, a chi avrebbe lasciato le sue perle di ragazzini? Quante valigie avrebbe dovuto comprare? Ma soprattutto cosa avrebbe dovuto metterci dentro?
Alla prima domanda rispose subito, ipotizzando una spedizione punitiva nella casa materna dove si sarebbe assicurata la felice permanenza dei figli.
Alla seconda domanda, invece, i nodi cominciarono a venire al pettine. Insomma, in certi posti ci si va una sola volta nella vita. E poi, chissà che personaggioni le sarebbe capitato di incontrare, chissà a quante feste sarebbe stata invitata? Chissà quanti corteggiatori… chissà quanto tutto.
Per fortuna che aveva scaricato la lista per tempo così una parte del panico svanì rapidamente in quel camion di valigie che le furono recapitate il giorno seguente al suo indirizzo di casa.
Dopo aver ripetutamente controllato la check-list del necessaire per il viaggio, Nikita sprofondò nuovamente in una deriva di pensieri aberranti tra cui il classico: e se dimentico qualcosa? “Dio non voglia” ripeté tra sé e sé. Lo sapeva che se avesse dimenticato qualcosa non se lo sarebbe perdonato, senza che contare che la vacanza ne avrebbe risentito.

La notte del 22 febbraio, dopo vari tentativi di addormentarsi, la nostra eroina crollò in un sonno a dire il vero contaminato da incubi ad occhi aperti… primo fra tutti quello che la vedeva improvvisamente “disturbata” nella sua magnifica vacanza da presenze non contemplate nella “lista minima”. Insomma, e se veniva a farle visita Gorge Clooney o Brad Pitt? E perché no il Sindaco di Roma, o mr B in compagnia di Mrs B? E poi c’era sempre l’incognita Paris Hilton…
La mattina seguente, mentre era tutta presa dagli ultimi preparativi e tutto pareva volgere a nevrotica conclusione, la sorte le regalò una ghiotta occasione per mettere definitivamente a nanna le ansie dell’ultima ora: la visita inaspettata dell’unica persona non contemplata nella lista. Il suo padrone di casa. Quando aprì la porta, facendosi varco tra le colonne di valigie già bell e pronte per l’espatrio, si trovò di fronte proprio il signor Santini – nipote del celeberrimo prestigiatore newyorchese.
- “Buongiorno signora Nikita!” aveva biascicato mollemente appoggiato col gomito alla porta “siamo di partenza, eh?!”
Lei rimase a fissarlo lungamente, cercando con la mente una risposta adeguata a quella che appariva un sottile presa per il culo. Poi esordì: “No, mi sono stancata degli armadi… sa, pesano troppo e non entrano nel bagagliaio dell’auto! Ah ah ah…”
Lui, di rimando, rise di gusto, ponendo in evidenza una magnifica protesi dentaria in oro 18 carati con diamantino applicato al canino destro. Poi, assecondando l’humor uterino di quella donzella dalla pettinatura relativistica, ribatté: “posso darle una mano…”
- “Venga al dunque signor Santini, sono di fretta… devo farmi la messa in piega e l’universo si sta sgretolando sotto i nostri occhi… “
- Suvvia, ma come… arriva il padrone di casa e lei non gli offre nemmeno un bicchierino e un assaggio di buona conversazione sui Principi del metodo per l’apprendimento della lingua latina? suggerì accomodandosi sull’unica seggiola disponibile, accavallando le gambe in pieno stile bovaro delle Langhe in preda a selvaggi istinti sessuali.
- “Senta, signor Santini” puntualizzò, cercando di contenere le prime avvisaglie di psicosomatico istinto omicida “ho da fare… e di certo non è il momento giusto di dissertare su César Chesneau Dumarsais… oltretutto, la discussione appare monca se non si tiene conto dei suoi contributi epistemologici ben evidenziati nel Trattato sull’allegoria, in cui tenta di costruire una teoria filosofica sul linguaggio figurato…”
- “Lei mi prende per la gola… ma lo sa che potrei parlargliene per ore e ore? Settimane direi!”
Nikita non rispose, guardò l’orologio, si aggiustò la scomposta acconciatura… si guardò le unghia, e con un’inusuale flemma, si pronunciò in tal guisa: “Signor Santini, Giovanni, mi ha convinto… non avevo una conversazione così eletta dalla notte di nozze. Cosa le porto: caffé, tè, Anisette, infuso di biancospino, Karkadé…? Abbiamo tutto in casa! Faccia come se fosse a casa mia… ah ah ah…”
Quando tornò dalla cucina, Nikita pareva rinata: una fonte di luce le attraversava gli occhi, il suo make-up si era fatto perfetto e il suo deambulare aveva iniziato ad assumere un che di sensualmente provocatorio. “E allora Giovanni – ehm Signor Santini - che ne pensa di una vacanza in Polinesia? Potremmo starcene da soli, io e lei soli soletti… a parlare anche delle teorie di Wittgenstein sulla relatività del linguaggio…”
- “Beh veramente” tentennò “proprio oggi, avrei da fare… una riunione di condominio. Oh ma quanto mi piacerebbe!”
- “Ma su venga…” insistette suadentemente.
- “Non posso. Non insista… adesso devo andare”
- “E io dico di sì… e non accetto di essere contraddetta!” e così dicendo lo colpì col matterello per pasta e dolci fatti in casa in piena testa, provocandogli una ferita lacero-contusa difficilmente sanabile se non con un trapianto di scatola cranica.

Quella sera, con perfetto tempismo sulla tabella di marcia, Nikita e Gabriel si presentarono al check-in dell’aeroporto. Lei vestiva in pieno stile Jackie Onassis: fularino Hermes, tubino in shantung di seta ecrù e decolletè con tacchetto di sei centimetri dello stesso colore del rossetto. Lui, invece, indulgeva in uno stile Yacht 25 metri.
- “Qualcosa da dichiarare?” aveva chiesto la hostess.
- “Nulla… nulla!” si affrettò a rispondere Nikita.
Poi improvvisamente un lampo di terrore le attraversò il volto. Un’immagine del passato le stava tornando vividamente alla memoria con la stessa forza di un tappo esploso da una prestigiosa bottiglia di Chateau Lafitte del 1959: le risate grasse delle sue compagne di asilo nido allorquando si accorgevano della scia di sugo di arrosto che fuoriusciva dal panierino.
- Cazzo, no…il Domopack!!! Bestemmiò senza ritegno davanti all’ufficiale che aveva seguito argutamente quella strano strascico rosso sangue di tipo “B negativo”.
Gabriel si bloccò di colpo, sbirciò con la coda dell’occhio quello zig-zag dietro di sé, e senza scomporsi, affettuosamente sentenziò: “si tesoro, hai ragione… me lo sentivo nelle ossa… lo sapevo che ti saresti dimenticata qualcosa. Non ho parole… la solita inetta. Tutta tua madre!”