martedì 28 aprile 2009

FOTO DI GRUPPO: OTTO OCHE E UNA RISERVA DI PORCHETTA


Torno dopo un periodo di andirivieni di influenze, sbalzi di temperature e di riflessioni profonde.
Cos’ho fatto in questo periodo? Beh, sono rimasta a guardare? Guardare cosa? Nulla, assolutamente nulla. Dicesi nulla: tutto quello che accade abitualmente e che non stupisce più per la sua intrinseca banalità.
In mezzo a tutto a questo nulla, in verità, c’è stato qualcosa di leggermente più annichilente… e desidero parlarvene.

In queste ultime settimane in cui il mondo è rimasto concentrato sui disastri ecologici, sui terremoti e sulle troie contagiose d’origine messicana, io sono rimasta nella mia villa di montagna a guardare il mondo dalla finestra… e dalla TV. Niente di nuovo sotto il sole, ovviamente. Fatta eccezione per l’ultimo autogol in ordine cronologico firmato Mediaset. Sia ben chiaro, Mediaset non mi sta antipatica… mi provoca soltanto una leggera orticaria e impulso a cospargere il pianeta di profumata diarrea… sarà che da quando i puffi sono al governo tali esempi di prestigiosa televisione mi fanno venir voglia di abbonarmi al digitale terrestre e contemporaneamente acquistare una sega elettrica per ridurlo a fettine sottili sottili che non puoi dire di no.
Mi riferisco ovviamente agli otto palmipedi della foto.
Ah, non le riconoscete? Cazzo, avrei detto il contrario. Beh, ve le presento brevemente. (da destra a sinistra).

La prima è Pamela Prati. Ballerina di fila al supermercato che negli anni è stata promossa a prima ballerina incapace di intendere e di volere. Nel giro, si dice che sia un trans, ma io sono fermamente convinta che sia soltanto una a cui va semplicemente regalato un burqua… e un abbonamento ad una scuola di ballo. Chissà che con un po’ di buona pratica non riesca a ballare da sola anziché essere spostata da un posto all’altro del palco ad opera di uno squadrone di forzuti ballerini.

La seconda è invece la nostra Valeriona. Nella foto la riconoscete agevolmente perché è quella senza il travestimento da palmipede e certamente anche la prossima a partorire una mezza quintalata di fois gras. Differentemente dalla prima, che almeno ci prova, ella non sa neppure il significato della parola “danza”… eh sì che in questi ultimi vent’anni uno stuolo di provetti insegnanti si sono dati un gran da fare per farle capire che un conto è il ballo un altro è lo starnazzare ammiccante davanti alle telecamere. E vabbé qui si potrebbe scrivere un trattato…

La terza è la notoria Nina Moric. Diplomata al ruolo di sfigata abbonata al silicone, ama grandemente l’arte del mimetizzarsi. Che poi ci vuol poco… e d’altronde dove potrebbe nascondersi una totale incapace se non in mezzo ad altrettante incapaci? Ella infatti non sa far nulla. Dicesi nulla, tutto quello che una buona moglie fa per amore, ma che qualcun'altra fa per soldi ad insolite altitudini.

C’è poi la Angela Melillo. Vincitrice di non so quale reality, si distingue in mezzo al gruppo per quella sua capacità di saper produrre espressioni infantili da bambinetta smaliziata. E qualcuno ancora ci crede.

Come state notando, ma mano che scendiamo nella lista il curriculum di ognuna di queste comincia ad accorciarsi. Seguono infatti le rimanenti quattro, tra cui spicca un’ex miss Italia premiata al concorso per la sua incredibile somiglianza con Sophia Loren. E basta. Campionessa di gaffe ortografiche e sintattiche, si è rifugiata nel ruolo a lei più congeniale: fare la spalla delle spalle ai comici del Bagaglino. Le ultime tre sono emerite sconosciute.


Vi starete chiedendo il perché di questa breve disamina. Vi credo sulla parola. Anche io mio sono posta la stessa domanda. Insomma, perché fare una trasmissione con otto donne (ah che eufemismo!)? Cosa avranno voluto comunicarci gli autori? Che messaggio avranno voluto dare queste otto cretine al popolo maschile, e ancor più a quello femminile?
Forse gli autori avranno voluto insinuare che per fare una vera soubrette al giorno d’oggi – con la logica del patchwork - ce ne vogliono almeno otto… e questo per cercare di nascondere il livello complessivo di incompetenza connaturata in ognuna di esse. Le oche giulive che invece hanno deciso di sfilare in questo bordello televisivo (cara Carfagna, le puttane non sono solo per le strade) hanno invece voluto comunicarci – a noi donne comuni mortali – che oggi il modello di donna vincente è quello che loro promuovono con la loro immagine: una donna che non ha bisogno di essere ma solo di apparire.

Badate, non v’è nulla di moralistico in questa affermazione. Quello che veramente mi irrita è il fatto che il piede nella fossa dello status quo culturale sia ancora così saldamente fermo. Ok, sì, forse è la solita menata femminista… ma di certo io sono davvero stanca di non vedere attorno a me donne con un valore aggiunto.

La bellezza, vera o presunta che sia, ha sopraffatto ogni cosa. Ma la bellezza basta davvero? Io questo me lo sono sempre chiesta. Mi sfugge infatti il senso di questa corsa. Dove si vuole arrivare? La gran parte di questi ritrovati di pseudo arte coreutica non è più né in età di marito né in età da parto. Sono vuoti a perdere. Hanno forse bisognosi soldi?

Forse semplicemente esistono… e per qualcuna sono la speranza che anche a cinquant’anni si può essere ancora piacenti. Si sa, gallina vecchia fa buon brodo, ma qui invero si parla di oche… e allora l’analogia si perde.

Fortunatamente il programma è stato un flop e qualcuno sta già pensando di cancellarlo, ed io fremente come non mai spero che il messaggio a queste tardone giunga chiaro e forte… come la pallottola in fronte che piazzerei volentieri in mezzo a quegli otto cervelli vuoti.

Oggi mi gira così… perché io fortunatamente le mestruazione ce l’ho ancora.

Hasta luego

Amanda

sabato 4 aprile 2009

WOMAN AT WORK… OVVERO LE FATICHE DI UNA DONNA EMANCIPATA


Io proprio mi sono rotta le ovaie. Sì, non ce la faccio più a sentirle blaterare. Le donne, intendo.
Da qualche tempo a questa parte, la quasi totalità delle donne ha cominciato a sentirsi colta da una fiamma divinizzante, onde per cui ogni cosa che viene detta a loro carico assume l’ennesimo attacco alla sacralità del proprio status di “intoccabili”.
Oltre a sentirci divine, noi amiamo anche percepirci come il centro del mondo: un mix letale tra wonder woman, la casalinga, l’amica e la madre perfetta. A noi questo ruolo piace… e ci piace soprattutto perché così abbiamo una buona scusa per rompere i coglioni per le vie del mondo. Sai che caciara!!!
Ecco, credo che sia proprio questa nostra attitudine a lagnarci che ci abbia portato a considerare ogni cosa troppo stretta e, per converso, a desiderare un mondo che non esiste nemmeno nelle favole. Infatti, quando ci proiettiamo in una fiaba – una qualsiasi, ovviamente - prediligiamo sempre il ruolo della piccola fiammiferaia oppure quello della principessa di turno o, anche meglio quello della sfigata che alla fine trionfa, tralasciando distrattamente tutto quel variopinto paesaggio umano costellato di streghe simili a mogli, sorellastre molto simili a colleghe d’ufficio… e ippopotami col tutù del tutto identiche a quelle immagini che riflettono lo stato di avanzamento-cellulite del nostro corpo.

Una delle lagne create ad hoc nel corso dei secoli è quella che riguarda il fatto che non ci venga mai data l’opportunità di dimostrare quanto siamo realmente cretine. L’uomo, dal canto suo, nel suo continuo ostacolarci ha cominciato a vestire il ruolo dell’alibi perfetto. Per fortuna nostra.

Nei giorni scorsi, il ministro Brunetta durante il convegno denominato Women at work, ha detto qualcosa di assolutamente vero, ma che nessuna donna – nemmeno la più autocritica – si sarebbe mai lasciata scappare dalla bocca, e cioè che la femminilizzazione dei lavori e delle professioni che scegliamo è una tomba che ci scaviamo da sole… e come siamo brave a farlo!
Su quel letamaio infiocchettato di rosa dette Pari opportunità si è infatti costruito tutto il nostro modo di vedere il lavoro oggi, ovvero una doverosa pausa remunerata maldestramente lasciata cadere tra i bambini che vanno lasciati a scuola, fare la spesa, andare a fare shopping, andare in palestra, dissipare lo stipendio proprio e del marito, cucinare preziosi manicaretti per la famiglia, lavare le mutande del nostro compagno di vita.

Dio com’è dura la vita! Come ci sfianca… Eh sì, deve essere proprio una gran fatica cucinare la frittata, ma di certo ci risulta facile rigirarla ad arte… soprattutto quando c’è di mezzo il suddetto status.

Lo status delle intoccabili è infatti quell’immagine collettiva che ci fa apparire vittime ad oltranza di un sistema – a nostro dire – costruito ad hoc dalle sapienti mani degli uomini al solo scopo di prevaricarci. Cazzo, mi ero infatti scordata che il coiffeur, la depilazione, la palestra, lo shopping, i tacchi alti sono stati la più brillante invenzione degli uomini. Insomma, pare che la donna non sia mai stata libera di creare ed essere se stessa. È sempre l’uomo che ci obbliga e noi questo lo sentiamo sulla nostra pelle. Giorno dopo giorno.

Noi donne, si sa, memori di un passato che ci ha visto schiave di non fare un cazzo mentre i nostri mariti andavano in guerra, abbiamo cominciato a battere i piedi per terra per ottenere il “mal” tolto. Il femminismo di oggi non si pone tanto la parità, quanto l’effettivo superamento dell’uomo. Una specie “super uomo” - o meglio una super donna – che può fare tutto… a patto che gli si lasci il tempo di non far nulla. L’importate – il nodo cruciale - per noi non è ottenere quanto rivendicare tutto il rivendicabile. Sì, noi vogliamo tutto. Vogliamo lavorare – ad esempio – ma al contempo vogliamo andare a fare shopping. Vogliamo anche essere madri (nostro sacrosanto diritto fisiologico), ma al contempo vorremmo lavorare (ovvero fare shopping). Vogliamo comandare il mondo, ma se la cosa implica troppe energie e troppo tempo quando ci andiamo dal parrucchiere, dall’estetista o a fare shopping? Vogliamo essere emancipate, ma ci incazziamo quando un uomo ci lascia pagare il ristorante (insomma, che fine hanno fatto gli uomini di una volta?) o non ci porta a fare shopping con la sua carta di credito. Vogliamo essere super, ma non appena qualcuno di dice “vai!” noi rispondiamo “eh, ma mica sono un robot?!”

Il punto è che noi siamo sempre dalla parte del giusto, per una questione di principio… In relazione a questo dogma, ogni cosa detta risulta una mancanza di rispetto per le donne. Sono esattamente queste le parole usate dalla Pollastrini, alla quale vorrei chiedere: “ma in quale condizione una donna può dirsi rispettata?” Io c’ho pensato e l’unica risposta che è giunta è stata: una donna si dice rispettata quando le si concede di fare quel che cazzo gli pare, e quando ne ha voglia.
Non sia mai, infatti, che ad una donna si faccia notare che “per caso” si è allontanata dal luogo di lavoro per fare la spesa. Guai serissimi, gentile amiche!!! Insomma, una donna ha il diritto di fare la spesa… se no i figli e il marito che cosa mangeranno?

Un’altra minchiata galattica è quella dei congedi parentali. Gli uomini all’asciutto di questa materia sicuramente non sanno che dal 2000 (legge 53) ci sono questi benedetti “Congedi parentali”, i quali però – e ribadisco “però” – sono ottenibili dagli uomini solo se la donna è disposta a concederli al marito. Il punto è che la donna non vuole: la maternità infatti – questo diciamo noi, anche in relazione al vantaggio di godersi il pupo – è una prerogativa a cui nessuna intende rinunciare, ma allora cosa cazzo sono stati inventati a fare?

C’è poi una questione alla quale vorrei che qualche lettore/ice rispondesse: ma perché quando la parità tra i sessi è sostenuta da una donna è emancipazione e quando, invece, è sostenuta da un uomo è maschilismo? Perché la parità dell’età pensionabile è vista come “un linguaggio vecchio e maschilista” (per usare le parole della Bindi… di certo più maschio di La Russa)?

A coronare il fronte delle proteste delle femmine da Montecitorio (speriamo in via d’estinzione… soprattutto se uguali alla Carfagna, ma ahimé c’hanno rifilato anche la Matera!) ci sono state quelle della Carolina Lussana della Lega, la quale è la sostenitrice del “mal comune mezzo gaudio” con frasi del tipo : “prendere un caffè o leggere il giornale sportivo non è un modo di assentarsi dal lavoro?” Certo cara la mia mentecatta, lo è… eccome, esattamente come leggersi Marie Claire e fare gossip al bagno delle ragazze. La stessa poi conclude con: “se pure fosse vero… fare la spesa non è assenteismo ozioso, come quello degli uomini.”

Dopo una battuta del genere a “questa” mi verrebbe voglia di seppellirla viva. Cazzo, come non averci pensato io stessa?! È un’argomentazione che non fa una piega. Da oggi in poi, infatti, consiglio a tutti indistintamente di assentarsi dal lavoro per fare palestra, o qualsiasi altra cosa che non comporti ozio. Insomma, l’importante è non essere pigri. Geniale, nevvero?!

Dopo questo tripudio di cazzate femminili, io spero che quella sagoma di Brunetta non si faccia intiepidire da quell’unico neurone “rosa-calendario di Max” al secolo Mara Carfagna.

A tutte le altre wonder women che devono ancora imparare a cucinare due uova, stirare un tovagliolo e mettersi il fondotinta come si deve, lancio un laconico: ma andate a cagare!!!

Amanda