
Notizia flash: dopo quella madornale minchiata denominata “8 marzo” – noi donne possiamo da oggi congratularci a vicenda per aver strappato un altro giorno al calendario di quegli zotici col pisello tra le gambe detti anche uomini. Ma l’obiettivo è lontano e la sproporzione è ancora troppo schiacciante: restano peraltro altri 363 giorni di differenza tra noi e loro.
Eh già, è proprio così, il 25 novembre è stato scelta per celebrare la lotta contro la violenza sulle donne. La notizia – vi dirò – mi ha lasciato perplessa anche perché stavo cercando di capire se nel medesimo dannato calendario esistesse un equivalente giorno in cui si celebra la lotta contro la violenza sugli uomini. Ho controllato, e tale data non esiste. Cazzo, proprio non esiste… e questo non va.
Siamo sempre state certe della violenza da parte degli uomini, ma chissà come mai questa stessa consapevolezza non ci investe in quanto portatrici di un’eguale o forse anche più efferata violenza… quella sugli uomini. Sarà forse perché in noi c’è sempre stata quella naturale predisposizione innata a sentirci vittime del tutto; del maschio, della cellulite, del doppio lavoro, delle responsabilità, delle fregature affettive, della depressione. Sarà… ma io credo che tale giorno non esiste per due eminenti motivi: il primo ha a che fare con il fatto che gli uomini non se ne vanno in giro a lamentarsi… come femminucce. Il secondo riguarda invece la peculiarità della violenza femminile.
La psicologia chiarisce infatti che gli uomini sono di certo più diretti nell’espressione dell’aggressività: ti mollano un sano ceffone, ti scompigliano il make-up falso-battona, ma poi tutto sommato ritornano nei ranghi. Il punto a loro sfavore è ovviamente la visibilità del loro “torto”. Quell’occhio nero non è infatti sfuggito allo sguardo strabico di una qualsiasi cretina di vattelapesca centro sociale a protezione delle donne indifese, le quali, con interviste e oculate perizie, si limitano a costatare gli effetti piuttosto che indagare le cause. Risultato dell’intera operazione? Un oscar alla carriera per la miglior interpretazione in assoluto dopo quella di Francesca Dellera ne “La Bugiarda”.
Noi ragazze, per converso, non solo siamo sempre solite parlare del mostro che è fuori di noi senza nemmeno avere il minimo sindacale di autocritica tale da consentirci sgamare “l’assassina che c’è in noi”, ma neanche la capacità critica di capire il perché di quell’occhio stile panda-in-estinzione. No, nulla di tutto questo. La ragione – come le rimanenti virtù teologali stampate nel nostro DNA di default – è sempre e soltanto una nostra opzione… e noi di certo non ci lasceremmo sfuggire l’occasione di rivendicarla in ogni situazione. È un po’ come quando i neri assumono sempre e a torto di essere sempre e comunque loro le vittime delle discriminazioni, anche quando le cose vanno diversamente. E siccome la nostra creatività non ha limiti, anche quando siamo noi dalla parte del torto, invochiamo la legittima difesa.
Il punto è , cari amici e pessime amiche, che nella realtà delle cose la nostra aggressività si caratterizza per la silenziosità delle sue armi e per l’agire indiretto. Si, è vero, non è una violenza che genera effetti visibili, ma è pur sempre una violenza… e di certo i suoi effetti hanno una “durata” ben più lunga di un ematoma. E noi questo lo sappiamo. Sappiamo ad esempio – e questo lo sperimentiamo quotidianamente con le nostre pari-stronze amiche e colleghe - che ciò che ferisce non è certo un gesto diretto, chiaro e lampante, quanto un mezzuccio, un dispetto, un’angheria, una parola sbagliata al momento giusto. Non serve altro.
E allora forse, se vista sotto questa prospettiva, la questione assume un rilevanza del tutto diversa e inaspettata: la violenza di cui siamo capaci è l’unica cosa da cui occorre davvero difendersi. Il carico di odio e di astio che sappiamo portare dentro è spesso la causa principale che alimenta e che esaspera le tensioni. Il fatto che non siamo capaci di sferrare un pugno non significa nulla, anzi significa solo che i mezzi che useremo sanno perfino più taglienti e distruttivi di un qualsiasi delle armi utilizzate in uno scontro frontale.
E dunque torniamo a questa storia del 25 novembre, e a tutte le altre cazzate di cui la nostra cara ministra Carfagna si fa paladina. Oh, a proposito, se di certo potremo difenderci dallo stalking – anche ammettendo che siamo solo noi donne a subirlo (tutto da verificare) – cosa potrà difenderci dalle male lingue, da quei micro-comportamenti che proprio danno sui nervi, dalle insinuazioni fatte col sorriso largo, dagli atteggiamenti che ledono l’orgoglio e la dignità personale, dalle mise da mignotta che sappiamo esibire… e da tutti i rimanenti orrori a portata si silenzio che sappiamo all’occorrenza generare con incurante o falsa ingenuità?
La risposta è una sola: nulla e nessuno.
E allora smettiamola di creare falsi miti: quello della vittima tutta al femminile è qualcosa a cui credono (forse) solo gli uomini.
È giunto il momento di evolversi care amiche; miagolare e lamentarsi poteva forse ingannare qualcuno, ma io penso che proprio dovremmo smetterla. Io proprio non ce la faccio più!!! E voi?
Eh già, è proprio così, il 25 novembre è stato scelta per celebrare la lotta contro la violenza sulle donne. La notizia – vi dirò – mi ha lasciato perplessa anche perché stavo cercando di capire se nel medesimo dannato calendario esistesse un equivalente giorno in cui si celebra la lotta contro la violenza sugli uomini. Ho controllato, e tale data non esiste. Cazzo, proprio non esiste… e questo non va.
Siamo sempre state certe della violenza da parte degli uomini, ma chissà come mai questa stessa consapevolezza non ci investe in quanto portatrici di un’eguale o forse anche più efferata violenza… quella sugli uomini. Sarà forse perché in noi c’è sempre stata quella naturale predisposizione innata a sentirci vittime del tutto; del maschio, della cellulite, del doppio lavoro, delle responsabilità, delle fregature affettive, della depressione. Sarà… ma io credo che tale giorno non esiste per due eminenti motivi: il primo ha a che fare con il fatto che gli uomini non se ne vanno in giro a lamentarsi… come femminucce. Il secondo riguarda invece la peculiarità della violenza femminile.
La psicologia chiarisce infatti che gli uomini sono di certo più diretti nell’espressione dell’aggressività: ti mollano un sano ceffone, ti scompigliano il make-up falso-battona, ma poi tutto sommato ritornano nei ranghi. Il punto a loro sfavore è ovviamente la visibilità del loro “torto”. Quell’occhio nero non è infatti sfuggito allo sguardo strabico di una qualsiasi cretina di vattelapesca centro sociale a protezione delle donne indifese, le quali, con interviste e oculate perizie, si limitano a costatare gli effetti piuttosto che indagare le cause. Risultato dell’intera operazione? Un oscar alla carriera per la miglior interpretazione in assoluto dopo quella di Francesca Dellera ne “La Bugiarda”.
Noi ragazze, per converso, non solo siamo sempre solite parlare del mostro che è fuori di noi senza nemmeno avere il minimo sindacale di autocritica tale da consentirci sgamare “l’assassina che c’è in noi”, ma neanche la capacità critica di capire il perché di quell’occhio stile panda-in-estinzione. No, nulla di tutto questo. La ragione – come le rimanenti virtù teologali stampate nel nostro DNA di default – è sempre e soltanto una nostra opzione… e noi di certo non ci lasceremmo sfuggire l’occasione di rivendicarla in ogni situazione. È un po’ come quando i neri assumono sempre e a torto di essere sempre e comunque loro le vittime delle discriminazioni, anche quando le cose vanno diversamente. E siccome la nostra creatività non ha limiti, anche quando siamo noi dalla parte del torto, invochiamo la legittima difesa.
Il punto è , cari amici e pessime amiche, che nella realtà delle cose la nostra aggressività si caratterizza per la silenziosità delle sue armi e per l’agire indiretto. Si, è vero, non è una violenza che genera effetti visibili, ma è pur sempre una violenza… e di certo i suoi effetti hanno una “durata” ben più lunga di un ematoma. E noi questo lo sappiamo. Sappiamo ad esempio – e questo lo sperimentiamo quotidianamente con le nostre pari-stronze amiche e colleghe - che ciò che ferisce non è certo un gesto diretto, chiaro e lampante, quanto un mezzuccio, un dispetto, un’angheria, una parola sbagliata al momento giusto. Non serve altro.
E allora forse, se vista sotto questa prospettiva, la questione assume un rilevanza del tutto diversa e inaspettata: la violenza di cui siamo capaci è l’unica cosa da cui occorre davvero difendersi. Il carico di odio e di astio che sappiamo portare dentro è spesso la causa principale che alimenta e che esaspera le tensioni. Il fatto che non siamo capaci di sferrare un pugno non significa nulla, anzi significa solo che i mezzi che useremo sanno perfino più taglienti e distruttivi di un qualsiasi delle armi utilizzate in uno scontro frontale.
E dunque torniamo a questa storia del 25 novembre, e a tutte le altre cazzate di cui la nostra cara ministra Carfagna si fa paladina. Oh, a proposito, se di certo potremo difenderci dallo stalking – anche ammettendo che siamo solo noi donne a subirlo (tutto da verificare) – cosa potrà difenderci dalle male lingue, da quei micro-comportamenti che proprio danno sui nervi, dalle insinuazioni fatte col sorriso largo, dagli atteggiamenti che ledono l’orgoglio e la dignità personale, dalle mise da mignotta che sappiamo esibire… e da tutti i rimanenti orrori a portata si silenzio che sappiamo all’occorrenza generare con incurante o falsa ingenuità?
La risposta è una sola: nulla e nessuno.
E allora smettiamola di creare falsi miti: quello della vittima tutta al femminile è qualcosa a cui credono (forse) solo gli uomini.
È giunto il momento di evolversi care amiche; miagolare e lamentarsi poteva forse ingannare qualcuno, ma io penso che proprio dovremmo smetterla. Io proprio non ce la faccio più!!! E voi?